Pubblicato da Alessandro Violante il aprile 3, 2016
Mescolanza. Una parola che riassume quello che sta accadendo negli ultimi due anni grazie all’incontro tra musica techno ed industrial, che ha i suoi precedenti meno recenti in alcuni fortunati esperimenti di musicisti come Regis, Adam X e, successivamente, Perc, fino alle lezioni di Ancient Methods, Samuel Kerridge, e Blush Response. E’ proprio quest’ultimo, Joey Blush, musicista statunitense cresciuto a pane e sintetizzatori, che, muovendo i suoi primi passi con label di rilievo come la Basic Unit Productions, proprio tramite la musica di Wollenhaupt e soci e proprio a seguito del suo trasferimento nella capitale della techno, Berlino, ha scoperto quanto la musica post-industriale possa trasmettere nella sua formula ritmica, pesantemente influenzata dalla techno ma anche dai profeti del suono primoindustriale, dagli Esplendor Geometrico, dalla cosiddetta rhythmic industrial, dall’EBM. Da questa sua fascinazione, supportata dalle sue felici intuizioni compositive e dalla sua accurata opera di creazione e selezione sonora, anche grazie all’interessamento di una giovane ma promettente label come la Aufnahme+Wiedergabe e di Philippe Strobel, il suo nome è cominciato a crescere sempre più in ambienti nuovi, differenti, quelli della techno e di un certo tipo di club culture, anche quella italiana, nella quale debutterà ufficialmente il 16 aprile a Milano insieme al compagno di etichetta Phase Fatale.
Questa ventata di cambiamento è giunta fino alle orecchie di una label pionieristica di un certo tipo di suono, la Ant-Zen di Stefan Alt, leggendaria casa discografica sempre aperta ai nuovi influssi post-industriali provenienti dall’underground (e che in non pochi casi ha contribuito a creare), e Reshaper, il primo album dello Statunitense per la label dell’operosa formica, in uscita l’8 aprile, ne è il risultato più immediato. La scelta della label tedesca di supportare il Musicista è indice dell’indubbia qualità di fronte alla quale, in questa sede, le nostre orecchie si trovano. Reshaper non è un disco techno industrial, anche se talvolta ne presenta le fattezze. E’ invece un disco che, citandone il titolo, rimodella il beat post-industriale, mescolando intelligentemente ritmi techno industrial, potenti e alienanti (Blush è un fanatico dell’immaginario cyperpunk-distopico) basslines EBM, bordate rumoristiche e raggelanti balletti vicini al rhythmic industrial. Non solo mescolanza, ma anche, come si diceva poc’anzi, particolare attenzione per i suoni utilizzati. Joey Blush impersonifica una nuova generazione di artisti che pone particolare attenzione nei confronti dello strumento utilizzato per la creazione dei loro brani, e non solo nei confronti del risultato finale, ricollegandosi idealmente all’idea del musicista inteso come artefice del proprio sound, una idea che col tempo, anche a causa della rivoluzione digitale e di un mercato sempre più uniformante e “fast”, si era progressivamente eclissata.
Difficile etichettare i brani presenti in Reshaper, ed altrettanto difficile è riconoscere chiaramente l’influenza di questo o quel sound proprio in virtù del suo approccio analogico alla musica, ma c’è qualcosa dei Synapscape in salsa techno in Pain process, del suono Ant-Zen dei primordi in Alloy, dell’Ancient Methods (quello di Turn ice realities into fire dreams) in Newacid, dei Fausten remixati dagli Ontal in Wearing thinner (nel ritmo così come in certi suoni) e, ovviamente, degli artisti più propriamente techno industrial nelle cavalcate più chiaramente techno di Screaming fist, un techno-cibernetico assalto all’arma bianca, della secca e martellante Immolation, della techno-EBM di Fractured. Di particolare rilievo è anche il balletto Reclaimer, in cui uno spiccato senso del groove, una bassline EBM e un incedere techno lavorano dannatamente bene insieme, così come la opener Reshaper, in cui il flusso analogico-sintetico si innesta su una originale sovrastruttura spezzata, a sua volta posta su un minimalista battito techno, e sembra quasi urlare, sprigionando una immensa energia. E’ lo stesso flusso che serpeggia nel tarantolato, già citato, balletto Pain process, che ruggisce sullo sfondo sino ad elevarsi in tutta la propria maestosità. La chiusura viene affidata a Trascendence, il primo brano estratto dall’album, in cui ancora una volta echeggia un groove travolgente, un ritmo trascinante di matrice techno ed un annichilente flusso sintetico.
Altrettanto difficile è trarre delle conclusioni su un lavoro molto particolare, un nuovo punto di riferimento per artisti a lui simili, un perfetto punto di convergenza tra techno e musica post-industriale. Reshaper è riuscito davvero nel suo scopo: riformulare le regole del gioco, in un connubio perfetto tra passato e presente. Rileggere il passato per creare il presente: questo sembra essere il motto di un album dai molteplici livelli di ascolto, che non mancherà di attirare a sé il navigato così come il neofita di un certo tipo di suono. Ad ogni ascolto Reshaper sembra cambiare pelle rivelando nuovi, apparentemente prima inudibili, dettagli, e stimolando fantasie distopiche degne del miglior Gibson. Ad ognuno la sua interpretazione, ma una cosa è sicura: questo è solo l’inizio, un entusiasmante inizio.
Label: Ant-Zen
Voto: 8, 5