Pubblicato da Davide Pappalardo il giugno 9, 2015
Chi segue il nostro sito da tempo sa benissimo che la nostra opinione del progetto Keluar è decisamente positiva; abbiamo avuto modo di gustare il loro debutto-raccolta omonimo (qui la recensione), le loro esibizioni in terra italica presso lo Spazio Ligera (qui l’articolo) di Milano, la Stazione Gauss (qui l’articolo) di Pesaro e quella svedese del A warm wave concert (qui l’articolo), nonchè di scambiare quattro chiacchiere con i diretti interessati (il duo Sid Lamar / Zoè Zanias, tedesco il primo, australiana la seconda) in un’ottima intervista. E’ quindi naturale il nostro apprestarci a recensire il prima possibile il loro nuovo EP uscito sotto l’etichetta francese Zone 22, ovvero Panguna (nome di una città nell’isola di Bougainville in Papua Nuova Guinea); il lavoro è composto da tre inediti più un remix a cura di The Hacker (al secolo Michael Amato), storico rappresentante della scena techno ed electroclash francese, famoso anche per le sue collaborazioni con Miss Kittin.
Per chi ancora non li conoscesse, i Nostri propongono un suono che coglie a piene mani dalla scena minimale e retrò, ma anche dalla darkwave, dalla techno, dal synth pop e dalle contaminazioni industriali; il risultato è un suono liquido, etereo ed evocativo, ma che sa anche essere in certi episodi oscuro e meccanico. Il tutto è tenuto insieme dai suoni e dalle strutture spesso non convenzionali di Sid e dalla voce potente e allo stesso tempo femminile di Zoè, in un gioco di contrasti ed attrazioni della miglior specie, che rende i Keluar uno dei progetti più autonomi e riconoscibili dell’attuale scena minimalista.
Si parte con Instinct e con i suoi effetti di synth onirici e ritmiche “etniche”, sui quali presto si staglia la voce in riverbero della cantante, presente e potente come sempre; presto una familiare drum machine prende posto annunciando una serie di giochi elettronici che s’inseriscono perfettamente nelle trame pacate che fanno da substrato. Come spesso accade con i Nostri, il brano non è un assalto improvviso, bensì un costante salire in cui si aggiungono languidi e striscianti i vari elementi; l’effetto è anche questa volta ammaliante, familiare, ma allo stesso tempo capace di trascinarci. Al minuto e cinquantotto abbiamo la svolta paradisiaca dove le melodie eteree hanno modo di trovare libero sfogo, sprigionando l’anima del pezzo, moderna e allo stesso tempo molto anni ’80; in quasi cinque minuti di durata i Keluar riescono a presentare diverse facce del loro suono, confermandosi attenti cultori del songwriting, forse anche più che in passato.
La titletrack ci accoglie con suoni minimalisti che richiamano tutto un mondo che gli amanti di gruppi come gli Absolute Body Control e Dive conoscono bene; presto, comunque, intervengono le linee di bass line e la drum machine insieme alla voce della cantante, seguendo un andamento non dissimile dal brano precedente. Ecco quindi una nuova esplosione, questa volta quasi “festaiola” ma malinconica, che rielabora secondo il proprio gusto il techno pop anni ottanta più decadente; troviamo ritmiche più serrate e controparti quasi funky, che danno dinamismo alla struttura nella quale convivono con suoni spettrali da Sehnsucht esistenziale.
Volition è il proseguimento della tendenza ormai chiara dei brani, con un’introduzione minimalista sulla quale si aggiunge una ritmica in loop accompagnata da synth spettrali e vocals perse in una nebbia sonora; l’effetto ripetitivo è ipnotico e ci trascina condotti dall’affascinante voce dell’artista australiana e dai suoni della controparte teutonica. Una pausa sognante raccoglie il momentum raggiunto, riprendendo poi, con ancora più energia, l’andamento precedente, costante e ancora una volta alternato a pause evocative che ne sottolineano per contrasto la misura marziale segnata dalla drum machine quadrata; ossatura, quest’ultima, sulla quale si adagiano le melodie oniriche in un motivo equilibrato che mai esplode, concentrandosi su onde sonore ben calibrate.
Infine The Hacker mette mano su Panguna lavorando sulle pulsioni elettroniche e sulla ritmica, riportando naturalmente il tutto sul suo territorio di competenza, ovvero una techno minimale composta per il dancefloor; nelle sue mani, le parti vengono ri-assemblate mantenendo la loro identità, ma cambiando funzionalità. Ora è il movimento del corpo l’obbiettivo, ma l’oscurità di fondo rimane, anzi facendosi forse ancora più corrosiva; una buona rielaborazione, dunque, che non è un mero riempitivo, e che trova un suo senso e contesto come chiusura del mini album.
Tirando le somme, i nostri non creano e non vogliono creare con questo lavoro una rivoluzione o una cesura rispetto a quanto proposto in precedenza; il suono è riconoscibile sin da subito e le atmosfere sono quelle già incontrate in passato. Immutata rimane l’abilità nel creare racconti sonori giocati sull’evocazione di stati interiori e scosse elettriche che li percorrono trovando sfogo in un tripudio di tastiere minimaliste e linee di synth; il tiro viene semmai ancor più aggiustato verso una certa direzione più strutturata e uno sperimentalismo meno vagante (ma bisogna considerare, al riguardo, anche l’esigua durata del lavoro). Un altro tassello della loro strada ancora tutta in divenire quindi, che nel concreto ci offre nuovi ottimi brani da sentire nelle sere d’estate, possibilmente in presenza di un leggero vento che ci porta suoni lontani del mare notturno; la parola chiave è ancora una volta nostalgia, una nostalgia atavica e istintiva che permane e caratterizza indelebilmente il suono della band, permettendogli di creare una propria dimensione.
Label: Zone 22
Voto: 8