Illegal trade – Acid for the royal family

Pubblicato da Alessandro Violante il marzo 26, 2015

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1977: nasce il punk. 1994: Laurent Hô fonda la Epiteth records e dà anche vita all’industrial hardcore. 1995: Gli Atari Teenage Riot danno alle stampe Delete yourself!. 2001: Gli Ambassador 21 esordiscono nel mondo musicale con Invitation to execution. 19 marzo 2015: Gli Illegal Tradeside project di questi ultimi, escono con il loro debut album, Acid for the royal family per la Hands productions.

Perchè fare questa sorta di cronistoria? Alexey e Natasha, in questi quasi quindici anni, hanno fatto una dura gavetta fatta di undeground, sudore, rabbia e slogan, fino ad approdare alle porte della Hands productions (e, recentemente, dell’olandese Prspct), label che li stanno facendo conoscere ad un pubblico molto più grande. Chi scrive ebbe l’occasione di sentirli suonare live e, ascoltando questo album, ha riprovato la stessa energia e lo stesso straniamento.

I due sono cresciuti anche già rispetto a X, (qui la recensione) del 2013, lavoro molto complesso ed ingegnoso, e qui mostrano all’ascoltatore di musica, nella maniera più semplice e diretta possibile, l’altra faccia del digital hardcore, un termine coniato in Germania (i due invece sono bielorussi), che negli anni ha preso strade diverse. Quando si parla di questo genere non si può non parlare dei suoi fondatori, i già nominati ATR, ma questo è un lavoro che si pone uno scopo diverso dal loro, e che rende il duo ben superiore all’ultima prova dei tedeschi e molto più avanti coi tempi. Cosa li rende i migliori nel loro genere? Per citare De Niro, il bernoccolo. Il quid, l’intelligenza sta nel non adagiarsi mai sul già fatto, nel non ripescare mai schemi già collaudati di facile successo, nel reinventare ogni volta la famosa ruota.

Ripartire da zero per abbattere gli schemi, per entrare in Inghilterra vicitori, per presentare all’ascoltatore più audace una nuova Summer of love, per recuperare la cultura dell’acid for the royal family, perchè è questo il clima che si viveva in quegli anni, quello della sperimentazione, in tutti i sensi. L’operazione del duo è fondamentale: ridare la carica, rimettere la benzina ad una macchina che, da quel che sembra, non riesce a fare entrare la terza, una macchina che nella metà degli anni ’90 gareggiava e vinceva tutte le competizioni di genere. Come? Andando a prendere le tendenze attuali della dancefloor più pesante e mettendole insieme, creando una miscela esplosiva che, certo, non inventa poi molto, ma che in fondo nessuno è capace di imitare, perlomeno con questa foga e questa freschezza sonora. Quanti avranno detto loro: “ma non vi siete mai stufati di rompere i vostri stessi confini?”. Beh, se questi sono i risultati, c’è da invitarli ad andare avanti, a farlo ancora e ancora.

Crossbreed, etica e violenza punk, digital hardcore, echi early rave, wobbles dubstep o comunque li vogliate chiamare, andando per il sottile (darkstep, etc…), sampling di ispirazione novantiana, come nel Nevermind di Space hunter, groove a palate, anzi, a camionate, e un chiaro riferimento all’industrial hardcore francese dei tempi che furono. Il duo bielorusso ha svolto, con questo album, la medesima operazione svolta parecchi anni fa dal big beat, la fusione del punk e della musica nera con l’elettronica, il tutto trasportato ai nostri giorni, il che potrebbe sembrare banale, ma in un momento in cui si è tornati ad inscatolare i gruppi all’interno di generi più o meno definiti, lo sforzo del duo può essere d’esempio per tanti altri.

La label, neanche a dirlo, in questo li supporta a gran voce, sempre attenta a presentare lavori freschi, sperimentali e nuovi nelle loro particolarissime sfumature, e questo rende tutto ancor più facile. Nove episodi per quasi cinquanta minuti che alternano sapientemente i vari elementi di genere, facendo prendere il sopravvento ad uno di questi a seconda del particolare episodio. Premesso che non sia semplice soffermarsi singolarmente su ciascuno dei singoli brani, si può dire tranquillamente che la opener Olga is dead, già in giro da qualche mese come brano di presentazione, riassuma perfettamente il bilanciamento degli elementi, dando vita ad un brano caleidoscopico e geniale, in cui differenti momenti si alternano: c’è la cassa distorta hardcore di supporto, ci sono le aperture sulfuree darkstep, i giri altrettanto distorti e sintetici di synth e, in generale, la voglia di osare, di andare oltre il già conosciuto.

Il brano è un po’ un ottimo riassunto di tutto l’album: ogni brano ha una personalità distinta, ma tutti loro condividono la stessa voglia di creare qualcosa di nuovo, pur con elementi particolarmente noti. Intendiamoci, i nostri qui non inventano generi, non è il loro scopo, è piuttosto quello di pagare loro un tributo alla loro maniera, ma il modo in cui mescolano le componenti di genere è assolutamente fresco e inedito. Tra gli episodi più originali spicca Zoom, un brano sulfureo senza mai essere oscuro, pesante come un macigno, tutto giocato su un groove lento ed affascinante vicino alla drum ‘n bass e al dub o dark che dir si voglia-step, che comunque mette in mostra tirate industrial hardcore. Anche la titletrack è una mitragliatrice hardcore incalzante, caratterizzata da wobbles ingegnosi e disturbanti.

Nessun brano è fuori posto, non c’è nessun riempitivo, solo una continua scarica di idee e di trovate ingegnose: anche la conclusiva Stalker ha talento da vendere nel suo agitato ritmo spezzato che si alterna con una cassa insistente e al fulmicotone. Qui c’è spazio per un grandissimo senso del ritmo, anche quando questo si rallenta e gioca molto sul groove. Di fondo c’è una ironia e un gusto per la musica del futuro evidente anche nei titoli: è simpatico immaginare il duo come dei Lucky junkies (uno dei brani più pesanti e massacranti, nonchè intelligenti, del lavoro) o come degli Space hunters.

Di fronte alla crisi del suddetto genere per opera di una variante french giocosa e molto meno pesante ed aggressiva, il duo bielorusso recupera il suono della tradizione ed espone chiaramente il proprio modo di vedere la musica elettronica attuale: lo stesso concetto di nevermind teletrasportato nel 2015 che permette loro di fare quel che vogliono, per citarli, fottendo tutti i sistemi.

Label: Hands productions

Voto: 9