Pubblicato da Alessandro Violante il gennaio 24, 2015
Vidi per la prima volta Il cielo sopra Berlino (in tedesco Der himmel über Berlin, da qui il nome della band triestina) di Wim Wenders, un film che influenzò ben più di una generazione uscito nel 1987 (e diventato poi cult movie), senza capirne totalmente il senso, ci volle del tempo per comprendere la sua pienezza espressiva e i molteplici messaggi. Tra gli innumerevoli omaggi al film e al regista tedesco (ora in mostra a Villa Panza a Varese), c’è anche questa band post punk – darkwave fortemente ancorata ai classici del genere degli anni ’80 ma con una personalità distinta. Siamo certamente di fronte ad un sound e ad una produzione al passo coi tempi.
Shadowdancers è il prodotto di un quartetto composto da Teeno Vesper alla voce, Davide Simeon alla chitarra, Stefano Bradaschia al basso e Riccardo Zamolo alla batteria, un disco maturo seppur derivativo (gli anni ’80 sono per forza di cose sempre nella testa di chi compone questa musica), un lavoro autoprodotto uscito dopo due precedenti releases per la Swiss dark nights (che abbiamo imparato a conoscere con le releases di band come Ash code e Hapax).
Dalla cover art alle sonorità alla voce di Teeno e ai riff di Davide abbiamo presto chiaro che musica abbiamo di fronte: darkwave / post punk non particolarmente innovativo ma ben suonato e ben prodotto, un lavoro che difetta nel mostrare subito le sue carte migliori per poi tendere alla ripetizione negli episodi conclusivi. L’opener è uno degli episodi più interessanti: Hyde ha degli intriganti stop & go, un riffing vario e vorticoso, un testo interessante e, in generale, nonostante la breve durata, si evolve bene. Groovy e catchy. Si prosegue con un altro ottimo brano come Alone in my room per il quale è stato realizzato un video, il loro nuovo cavallo di battaglia, anche questo veloce e dalla presa sicura, incentrato sulle tematiche della solitudine/alienazione e sulla follia che indubbiamente queste condizioni possono generare.
Shadowdancer prosegue il discorso con un altro brano veloce e catchy che presenta una ritmica galoppante e sostenuta, di sicura presa. Con Don’t take me home tonight, un giro di basso introduce una ritmica e una progressione più lenta, si tratta di un brano più riflessivo (non che i testi degli episodi precedenti non lo siano), quel che cambia qui è l’approccio più propriamente wave. L’atmosfera si fa meno pungente, più “decadente” in una ballad varia ma forse un po’ stucchevole. Un rumore di passi introduce invece Split it out, episodio acustico ambient inserito molto bene a questo punto della tracklist che, anche se non epocale, aggiunge varietà alla proposta del quartetto.
Nella seconda parte del disco le cose cambiano, le influenze 80’s si fanno sempre più forti e deliberate e questo fa pensare al lavoro di molte altre band storiche come i The cure in With some leeway e in Black dress, brani che non solo musicalmente, ma anche dal punto di vista lirico, guardano al passato e a tutto un particolare immaginario esplorato in tutti i campi dell’arte, del cinema e della letteratura. Se Something in the dark è un buon brano anche se può sembrare una variazione sul tema della titletrack (oltre a presentare un riffing piuttosto simile a quello dei Secret sight di Day.night.life), A ballad è uno degli episodi più interessanti anche se non uno dei più coinvolgenti, che ci mostra come la band sia in grado di visualizzare cambi di tempo suggestivi all’interno di uno stesso brano. Chiude Falling down, leggero episodio acustico che dimostra ancora una volta la ricchezza delle frecce presenti nell’arco del combo.
Shadowdancers, pur non essendo (e non volendo essere) un lavoro innovativo, dimostra la bontà e la capacità di songwriting, nonchè la fedeltà ad un certo stile da parte del combo triestino che non mancherà di appassionare gli ascoltatori del genere. Un lavoro onesto per una realtà che viene chiamata a cercare una maggiore originalità.
Label: Autoproduzione
Voto: 6, 5