Pubblicato da Alessandro Violante il agosto 5, 2014
La vecchia scuola EBM svedese torna a farsi sentire grazie all’ennesimo ruggito dell’indomabile Henrik Björkk, voce dello storico act Pouppée Fabrikk, a sua volta tornato un anno fa con il disco (di inediti e non) The dirt. Ultimo tra i suoi vari side projects, Angst focalizza l’attenzione su un approccio sperimentale alla materia sonora, in maniera differente da quanto svolto da molti suoi colleghi. Il titolo, Tar ner skylten, è una espressione svedese che indica uno stato di abbandono / morte, e il logo della band sintetizza il concetto. I leitmotiv principali sono minimalismo e sperimentazione. Vocals pulite e songwriting spesso straniante nella tradizione artaudiana recuperano a loro modo tutto quello che il genere espresse negli anni ’80, avendo il valore aggiunto della valorizzazione dell’aspetto della body music più legata alla fisicità ricercata dagli act di allora, rifuggendo la cannibalizzazione svolta dalle ritmiche puramente elettroniche a partire dagli anni ’90. Un sound estremamente fisico, quasi da band canonica e un drumming, quello di Mathias Pettersson, che ricorda quanto la musica per i corpi possa essere dannatamente fisica e carnale. Un approccio da gruppo rock, se mi si consente il termine, attraversa i dodici brani dell’album, disponibile in digitale e, nella sua versione fisica, limitato a 500 copie. Unica pecca per l’ascoltatore italiano è quella dei testi, interamente in svedese, comunque consultabili mettendo un like sulla pagina Facebook dell’act e, con un po’ di pazienza, traducibili con il servizio di Google translate. Messaggi chiari, brevi e concisi: questi sono i testi, e anche in questo si ritrova l’attenzione per il lancio di messaggi diretti e tesi a svegliare l’ascoltatore (e, ovviamente, a farlo ballare). Tuttavia l’EBM proposta si discosta dall’approccio del progetto madre: se il minimalismo, la fisicità del suono e delle liriche e le clean vocals sono senz’altro tratti caratteristici di un certo modo di intendere il genere ai suoi albori, la sperimentazione e la straniazione sono elementi inediti. Come una prosa quasi teatrale, il duo tesse tele talvolta lente, ricche di stacchi e ripartenze e soprattutto di controtempi nonchè di episodi quasi cantautorali come in Samma saker. Ci pensa poi Underbar, veloce e adrenalinica con le sue variazioni di tono, a rilanciare a tutta velocità la formula degli svedesi. Più in generale, queste variazioni sono uno dei tratti fondamentali del lavoro di Björkk, che possiamo ritrovare in tutti i suoi progetti, compreso anche l’electro industrial puppiano di Nexus Kenosis. Tra una sequela di brani memorabili e fortemente sperimentali seppur nel loro apparente (e spesso di fatto) minimalismo, il quadretto viene chiuso da Utfärd, una coda di pianoforte distorto che si colloca molto bene in un mood, non mi stancherò mai di dirlo, minimale e intelligentemente sperimentale nel suo minimalismo. Quando si parla di EBM, spesso una manciata di idee è sufficiente per produrre un lavoro eccellente, e non è affatto necessario ricorrere a mille sovrapposizioni. Se cercate una rilettura intelligente dei fasti del passato, eccovi serviti…non ve ne pentirete. Se invece il vecchio vi disturba e vi aspettate delle superproduzioni, sappiate che questo lavoro ha un sound secco e senza alcun fronzolo. Solo clean vocals, batteria e sintetizzatore, come vuole la tradizione, con la testa di chi ha ampie vedute, però.
Voto: 9,5
Label: Progress productions