Pubblicato da Davide Pappalardo il aprile 16, 2016
Abbiamo lasciato il duo franco-spagnolo Adan & Ilse (ovvero il francese Michel Lecamp a.k.a Usher e lo spagnolo trapiantato in Francia Pedro Penas Robles, già conosciuto con il progetto industrial HIV+) appena un anno fa con il relativo successo del loro album Cold Diamonds, e già li ritroviamo con il successore Chirurgie Plastique, disco qui recensito; abbiamo anche, sin dall’inizio, un’amara sorpresa, almeno per gli estimatori del progetto, in quanto i due hanno deciso di sciogliere il loro sodalizio artistico dopo aver ultimato quest’opera. Ci troviamo quindi di fronte ad un epitaffio che conclude la breve ascesa del progetto, partito nel 2012 con alcuni EP e remix; un percorso fatto di elettronica minimale non necessariamente oscura, spesso anzi eterea e dilatata, molto francese e sognante.
Un suono caratterizzato da synth evocativi, linee vocali lontane, ritmica spesso cadenzata e strisciante, e anche dall’intervento di alcuni delicati arpeggi di chitarra; le vocals, per lo più ad opera di Robles, si stagliano sullo strato sonoro con un’eleganza paziente, spesso sensuale, richiamando addirittura il cantautorato d’oltralpe e l’elettronica francofona più lounge e soft, per un progetto non necessariamente legato ai dettami dell’underground o dell’ostico. Non mancano comunque anche episodi più movimentati e dall’animo più oscuro, con alcune concessioni per il dancefloor, anche se il tutto si mantiene contenuto e giocato sulle atmosfere minimali e retro; cori che ci riportano al synth pop dei primi anni ’80 e strutture cosmiche trovano qui posto, così come groove più incalzanti per il ballo elettronico ed episodi di dance dall’animo malinconico.
Blind incarna perfettamente il primo lato della band, con i suoi suoni tersi e i cori distanti, sui quali si adagia una drum machine lenta e cadenzata, accompagnati presto da arpeggi delicati e da suadenti vocals recitate; vengono qui evocati addirittura gli Air, mostrando quindi un suono decisamente non aggressivo, con tanto di suoni di pianoforte, in un mantra sensuale prolungato con un loop sognante ed evocazioni angeliche.
Sin of sin cambia registro offrendoci una cassa dritta in levare, generando pulsioni elettroniche dal groove ripetuto, sulle quali poi abbiamo una ritmica pulsante ed accenni melodici dove alcuni colpi più duri strutturano un affresco dai toni fumosi; aperture grandiose di synth danno poi sfogo a ritornelli alla Visage, con non pochi rimandi a tutto un mondo sonoro caro a chi ama il techno pop più concitato.
Energy porta in gioco alcune influenze techno, incastrando riverberi e montanti sintetici in un crescendo sottinteso da linee eteree e giochi di synth dalle melodie suadenti; l’impianto creato si ripete con ritornelli fatti per essere seguiti come in un mantra, conoscendo poi onde più alte di melodia cosmica.
Nella parte finale del disco trovano spazio diversi remix estrapolati anche dal recente passato; ecco che Like me si traduce in un episodio di electro dalla drum machine robusta e dalle atmosfere notturne grazie agli Electrosexual, mentre Lost overdrive viene rimaneggiata da Neon Electronics in un pezzo di house francese alla Daft Punk, con synth vorticanti dall’incedere trascinante. Voice in blue viene filtrata in strati ballabili da Theremynt, con ben orchestrate e graffianti tendenze mimimal, fino all’esplosione di distorsioni che completa il pezzo, mentre Sun king gode di ben due reinterpretazioni: la prima a cura di Haujobb vede il loro stile ipnotico concentrarsi sugli strati ritmici e sugli effetti vocali, senza dimenticare, nella seconda metà, tensioni incalzanti e trattenute, mentre la seconda vede Phllox darci una versione synthwave da colonna sonora anni ottanta, in cui strali cosmici e alcune incursioni dei 4 / 4 trovano perfetta collocazione. Si chiude con una Red star allucinata grazie alla reinterpretazione oscura degli In death it ends, tra effetti dark e ritmi elettronici serrati, ed una Super star rimaneggiata da Mark Theis in un turbine di bassline incalzanti e strutture techno fatte per far muovere la testa a ritmo.
Un lavoro ibrido, insomma, a metà tra l’album vero e proprio e la raccolta, grazie al gran numero di remix in chiusura; una conclusione di percorso in cui il suono del duo si ripropone nelle sue varie forme, tra movimenti convenzionali, anche chill out, incursioni ritmiche in territori techno pop e l’uso ben dosato degli arpeggi di chitarra, nonché di linee cosmiche malinconiche. Le reinterpretazioni in chiusura regalano più di un momento a diversi ambiti del dancefloor, non solo alternativo, mostrando un’altra anima del progetto che è stata importante sin dall’inizio, ovvero quella della collaborazione e del remix capillare; ce n’è insomma per tutti i gusti, a patto di non pretendere un lavoro oscuro o legato a certa coldwave. Qui il campo d’azione è più basato su suggestioni elettroniche anche “solari” e sulla ritmica ripetuta, piuttosto che su tetri affreschi; questo però non significa che manchino i synth evocativi o le melodie, elementi anzi spesso usati dai Nostri. “Goodbye” quindi, con un capitolo finale che conclude degnamente questi pochi anni di carriera, sperando che entrambi i musicisti tornino presto con ulteriori emanazioni sonore.
Label: Unknown Pleasures Records
Voto: 7