Pubblicato da Davide Pappalardo il febbraio 26, 2016
Haujobb, il progetto di Dejan Samardzic e Daniel Myer (originariamente accompagnati da Björn Jünemann fino al 1995), è una presenza che ha accompagnato varie fasi dell’electro-industrial di stampo europeo sin dal 1993; inizialmente contraddistinti da un suono che rielaborava in chiave più tecnologica e fredda la lezione degli Skinny Puppy (in maniera simile ai connazionali X Marks The Pedwalk), presto i Nostri si sono avventurati in altri territori dello spettro elettronico, tra la IDM di Solutions for a small planet e le tendenze noise e sperimentali di Ninetynine e Polaris, perdendo parte dei loro fan e acquisendone altri insieme alla fama di gruppo cerebrale e “pensante” rispetto a molti colleghi dello stesso spettro sonoro.
Dopo alcune uscite sottotono realizzate all’inizio del nuovo millennio, il gruppo è rimasto a lungo in silenzio, salvo riemergere nel 2011 con l’acclamato New world march, lavoro che univa un certo gusto per l’epico e l’industrial con una rielaborazione delle sperimentazioni del passato in un formato più vicino al songwriting di un synth pop oscuro fatto di pezzi atmosferici e, perché no, anche catchy; ora il gruppo torna con una nuova emanazione, Blendwerk (lavoro d’illusione, inganno), licenziato dalla Negative Gain Productions in America e dalla Basic Unit Productions in Europa. Si tratta di un lavoro che, come facile aspettarsi dai Nostri, non si adagia sul recente passato ripetendo la medesima formula del disco precedente, pur trovando con esso alcuni punti in comune.
Si sceglie qui di dare molto spazio al minimalismo, strizzando l’occhio anche alla recente ondata dark techno, pur senza trasformarsi in un lavoro puramente orientato ai dancefloor; anzi, semmai, tutto rimane molto strisciante e subliminale, creando un’atmosfera sottesa che ricorda anche i Cabaret Voltaire più essenziali, i Portion Control più punk e i Klinik, e quindi, di conseguenza, quella EBM industriale di scuola anglosassone e belga basata su pochi elementi ripetuti in modo ossessivo e meccanico. Non bisogna, però, pensare ad una pura operazione nostalgica che cavalca l’onda delle correnti neo-old school che oggi stanno conoscendo molto fermento; una serie di elementi inconfondibili, tra cui una certa capacità nel gestire la ritmica e i beat tipica di Myer, ricollegano il tutto allo stile Haujobb che, pur cambiando di album in album, mantiene un proprio marchio di fabbrica.
Partiamo quindi con Completion e i suoi ritmi secchi e minimali, uniti a linee di synth come fossero lastre d’acciaio, sulle quali si delinea la voce effettata e suadente di Myer; all’improvviso, parte un cantato sentito ala Depeche Mode industriali, presentandoci le due anime del disco, tra elettronica metallurgica e pulsioni umane. Loop vorticanti sottintendono le aperture trascinanti, mentre echi alla Front 242 creano cori EBM di pregevole fattura.
Failures viene introdotta da rumori caotici e distorti sui quali, successivamente, si organizza una incalzante sequenza ritmica; parte poi una bassline EBM di scuola belga, sulla quale il cantante torna con fare robotico, sempre strisciante. Il pezzo si struttura su ondate inquietanti in crescendo, per una serie di andamenti decisamente old school, con tanto di rullanti elettronici dal gusto tribale e digressioni sommesse; i disturbi iniziali tornano a fare da cesura in una traccia combattiva che ci insegue con le sue tendenze oscuramente technoidi.
Input error ci accoglie con una martellante sequenza di synth minimali sui quali interviene la voce di Myer, mentre sirene robotiche si stagliano sulla struttura; un crescendo di pulsioni collima in una drum machine metallica, creando una EBM industriale completata dal ritornello spigoloso e, allo stesso tempo, trascinante. Una certa tensione controllata domina tutta la traccia, giocata sul passaggio dai beat militanti alle aperture melodiche; forse si tratta dell’episodio più vicino al puro formato canzone di tutto l’album, e non a caso è uno dei singoli.
Little miss danger è caratterizzata da un’atmosfera tesa ed inquietante sulla quale si dispiegano bassline possenti e rullanti ritmici, in un clima notturno e minimale in cui la voce del cantante narra in modo suadente la sua nera lezione; la ritmica si fa sempre più pulsante in una struttura minimal basata anche qui su un’addizione di strati in crescendo. Pochi elementi vengono ripetuti in modo ipnotico, risultato di un songwriting scarno ed essenziale che unisce old school ed elementi techno e IDM; il tutto, naturalmente, sempre con quell’attenzione per il sound design, tipica del progetto tedesco
Meltdown è un altro episodio notturno e minimale in cui synth squillanti e drum machine “da fabbrica” fanno da substrato strisciante per la voce futuristica di Myer; visioni alla Blade Runner vengono tradotte in musica tramite elementi ossessivi, in un montante tecnologico che non assalta, ma che rimane sotteso. Superata la metà del brano, la ritmica si fa più incalzante, in una struttura EBM dalla facile presa; anche questo è uno dei singoli dell’album, capace di creare, in uno spazio ristretto, una narrativa sonora basilare, ma non per questo di bassa qualità.
Si tratta di un lavoro particolare che probabilmente renderà felici alcuni fan e ne deluderà altri a causa della sua natura minimale e in parte retro, che probabilmente verrà esaltata dai primi e tacciata di inversione dai secondi; in realtà, così come la maggior parte dei lavori dei Nostri, anche Blendwerk è figlio del suo tempo e delle tendenze che aleggiano nell’etere, alle quali il sempre attento e ricettivo Myer non è estraneo. Non bisogna assolutamente, però, pensare ad un episodio furbesco creato per incassare su ciò che va di moda; la professionalità del gruppo evita largamente qualsiasi caduta di stile, unendo una certa freddezza chirurgica, insita in esso, ad una certa oscurità mai esplosiva ma, in maniera ancora più inquietante e subdola, nascosta tra i movimenti dei pezzi e i momenti più diretti che, talvolta, si affacciano sotto forma di ritornelli ammalianti.
Gli Haujobb proseguono, quindi, nell’opera di rinnovamento tra vecchio e nuovo iniziata con la seconda decade del nuovo millennio, confermandosi uno tra i progetti più interessanti del versante electro-industrial mondiale; nasce così uno dei punti più alti della loro discografia, che richiede più ascolti al fine di dispiegare tutta la propria natura decadente e squisitamente monotona e greve. Ascoltare per credere.
Label: Negative Gain Productions/Basic Unit Productions
Voto: 8