Pubblicato da Alessandro Violante il ottobre 24, 2014
Sono tornati. Pochi giorni fa è arrivato l’annuncio del settimo lavoro in studio dello storico duo composto da Dirk Ivens e da Erick Van Wonterghem, due anime che, incontrandosi, danno vita all’inconfondibile Sonar sound. Il primo è lo storico leader dei The Klinik, Absolute body control e Dive, mentre il secondo è la mente del progetto Monolith e Insekt, e questi sono solo i suoi due monicker principali.
Parlavamo di due anime distinte. La prima si è da sempre dedicata alla costante ricerca e allo studio dei suoni nella loro forma più pura, generalmente definita rumoristica, da qui il powernoise. Prendiamo ad esempio un lavoro particolarmente innovativo come il primo album a nome Dive. Già nel 1990, la filosofia del less is more (per saperne di più leggete lo speciale del 2013) porta l’electro a compiere la sua ulteriore trasformaziome nel primo album di Sonar, considerato uno dei principali, probabilmente il principale album del genere.
La seconda si focalizza maggiormente sulla ripetizione monolitica di ritmiche dure e fredde, il cui approccio affonda prepotentemente in certa techno, snaturandola e trasformandola in una marcia alienante e ballabile.
Nel frattempo passano gli anni e il progetto dà alla luce altri dischi che, colto il messaggio iniziale, trasformano le idee e gli spaccati del primo album in un genere dai contorni abbastanza definiti. Del resto la mission del duo non è l’innovazione e la complessità delle composizioni, al contrario di quanto svolto dalla generazione di sperimentatori del genere. Lo scopo è quello di colpire e di alienare utilizzando ritmiche dure, ripetititve e glaciali, sporcate da distorsioni e rumori lancinanti. L’alienazione è la nuova reincarnazione del principio della musica per i corpi, ed ha il suo bel seguito.
Questo album non introduce alcun elemento innovativo ma ha il pregio di declinare la formula, come sempre e in maniera magistrale, recuperando la freschezza dei primi album e, seppur alla lontana, le influenze electro che il duo si porta dietro, consci di aver scritto pagine imprescindibili nella storia di entrambi i generi. Gli episodi migliori sono forse i brevi spaccati, bozze in divenire che cadono giù come massi primordiali e sotterrano con il loro suono acido. L’electro-oriented di If so, what would you do? è uno dei brani migliori, e così anche Tower, Better change e la title-track, algida e disturbata-disturbante. Non mancano gli elementi originali in composizioni che, ad un orecchio non attento, potrebbero sembrare monolitiche e somiglianti le une alle altre. Ogni brano vive di vita propria e conosce mutazioni sottocutanee non indifferenti.
Inutile aspettarsi particolari innovazioni o trovate originali come in molti artisti del catalogo della label Hands, inutile aspettarsi quello che Sonar non è. Aspettiamoci quello che è, e questa è l’ennesima riprova della freschezza di quello che il duo riesce a comunicare, sempre secondo il principio del less is more. Un disco molto facile? Solo ad un primo ascolto, c’è da scavare in profondità. E voi siete pronti a farlo?
Label: Sleepless Records Berlin
Voto: 8,5