The klinik – Eat your heart out

Pubblicato da Alessandro Violante il marzo 3, 2013

The-Klinik-Eat-Your-Heart-OutGli anni ’80 hanno prodotto, tra i tanti fenomeni, quello dell’electro industrial, noto ai più per la sua parentesi canadese rappresentata da act come Skinny Puppy, Front line assembly, Numb et. al. Quel che però tutti non sanno è che l’Europa, e in particolare il Belgio, ha iniziato la propria via al genere tramite la figura di Dirk Ivens, che comincia la sua attività fondando questo progetto seminale, che poi abbandonerà nel 1990 per intraprendere altri lidi: Dive, Absolute body controlSonar, BA 25, Blok 57. L’altra anima del progetto, quella più strettamente strumentale in quanto Ivens rappresenta il frontman, è rappresentata dalla figura di Mark Verhaeghen, che proseguirà l’attività della creatura Klinik attraverso gli anni. Fino ad oggi. Il terzo elemento della line up originaria è Peter Mastboons, colui che, tra gli altri progetti, è anche il progetto The juggernauts che ha recentemente prodotto un E.P. L’approccio belga all’electro è  molto diverso da quello canadese. Musicalmente l’elettronica kraftwerkeriana viene diluita, il 4/4 marziale EBM deprecato, i suoni sono distorti e marciscono in atmosfere surreali / acide che sanno di surrealismo e di distopia psichica. Quello che interessa ai nostri sono i drammi visionari della mente, è una musica per la mente, non più per i corpi. Non più ballo quanto visione. Un’altra grande differenza sta nella voce: qui non c’è distorsione, c’è comunicazione verso sè stessi, c’è la recitazione del sacerdote nel tempio della mente. Il pubblico non esiste, esiste il dialogo tra i Sè, e così i Klinik di oggi si sono reinventati tornando alle loro origini, trasformando criticamente quello che è stato in quello che è, laddove quello che è rispecchia la naturale evoluzione del genere, fuori dal genere stesso che ha preso, con gli anni, pieghe differenti. Questa è l’aria che si respira fin dall’opener Nothing you can do, un brano straniante nel senso brechtiano, termine utilizzato non a caso in quanto Ivens è il nostro Bertolt Brecht, un attore che recita su un fondo strumentale da apoteosi dell’electro. Ecco che un suono fortemente old school, acido, ottantiano, si stende evolvendosi in una ritmica che non conosce il beat, che non conosce quello che nel genere gergalmente viene definito l’oontz. Qui non si salta, qui si pensa, ci si lascia portare via da questo mare di sintetizzatori che sapientemente Verhaegen tesse. Così per cinque minuti. Il brano successivo, In your room, è diverso, è una degenerazione acida dell’EBM, quello che lo caratterizza è la ripetizione dei suoni, caratteristica di tutto il lavoro, l’alienazione che questa pratica genera, qui il 4/4 riaffiora ma è silenzioso, mai invadente, subordinato alla forza propulsiva dei suoni orchestrati e dalla voce di Ivens. Mindswitch viaggia su linee simili ma guadagna ulteriormente nella complessità delle ritmiche e nell’atmosfera, caratteristiche comunque sempre ben presenti lungo l’intero full length, le direttrici sono queste e proseguono a volte in monologhi per il Sè e musica, a volte in episodi più sperimentali e sognanti, come in Stay, dove il synth fa viaggiare verso territori freddi ed acidi che ricordano i migliori episodi del genere, Bite now bite alza un pò i ritmi, Therapy è una strumentale di qualità, un brano piuttosto indecifrabile, marziale e cupo, avvolto in un’aura scura come la pece che dà il laWe are one, un brano esemplificativo che ruota attorno ad una sequenza di suoni e che, nelle liriche, fa ben sperare riguardo al futuro di questa realtà. Those sperimenta con le ritmiche spezzate mantenendo alta la dose di elettronica alla quale stavolta la voce torna a fare da contraltare in secondo piano. Chiude Closing time, seconda strumentale del disco, fortemente elettronica, fortemente europea, fortemente kraftwerkeriana, non mi stuferò mai di ripeterlo, degna conclusione di un lavoro che riporta in auge l’electro nella sua accezione più pura, un disco di cui si sentiva il bisogno, un ritorno ai fasti per un genere a volte dimenticato. Il trio delle meraviglie ha realizzato uno degli album più importanti degli ultimi anni. Speriamo che si continui così. Back to the old school.

Voto: ◆◆◆◆◆

Label: Out of line records