Pubblicato da Alessandro Violante il gennaio 31, 2013
Correvano gli anni ’80 quando il marasma dei generi etichettati come post industrial, termine nato dopo il primo scioglimento dei Throbbing Gristle, facevano capolino nei circoli underground. Tra i tanti generi, tra i tanti nomi, quello imperante, oltre all’EBM, sarà l’electro, meglio noto come electro industrial. Premettendo che tale termine servì ad etichettare entità ben specifiche soprattutto in Europa, tra i figli dell’electro c’è un’altra classificazione, quella del cosiddetto new beat, un genere che chiude l’electro nei mid-tempos di matrice marziale, aventi una ritmica più chiusa, vicina all’EBM e scelte stilistiche di chiara matrice electro industrial, a partire dalla distorsione della voce e dai synth utilizzati. E quale migliore definizione vi è per parlare di una entità come i belgi Vomito negro? Gin Devo e Samdevos fanno parte di quella schiera di artisti così raramente classificabili e così particolari – e particolarmente disarmanti – che, dopo grandi lavori e uno scioglimento nel 2002, tornano, sebbene questo non sia il loro come back, nel 2013 con un disco distribuito dalla sempre vigile Metropolis Records per gli USA e da EK Product per l’Europa, un disco che qui si è fatto attendere molto generando un’attesa snervante da parte dei fan. Considerati a lungo un gruppo cult, i due stupiscono con un prodotto che sembra uscito da una vecchia fabbrica o da un vecchio film dell’orrore. Per confermare la bontà del prodotto ci sono tanti indizi, certamente pressochè estetici, ma che lasciano ben sperare. La copertina è scarna, minimale, le tracce sono quelle giuste, poche ma buone, lontane dagli album – compilation, la label europea fa ben sperare, così come anche le presentazioni. La musica è differente dagli standard attuali, i nostri suonano all’incirca quello che si suonava un tempo, l’evoluzione c’è e soprattutto nella produzione, una sensazione di claustrofobia e di monoliticismo ansioso è molto forte, d’altronde i due non appartengono nè alla corrente aggrotech nè tantomeno a quella più dark-oriented. La musica è quadrata, ci sono i synth anni ’80 e ’90, ci sono i samples, e la voce distorta del qui presente caron demonio Gin Devo la cui voce è narrante piuttosto che urlante, una distorsione recitativa da cantico della morte, il cui stato precedente è il vomito negro, caratteristico della febbre gialla e che dà loro il nome. Nove brani, grandi episodi che cominciano con un sample che fa ben sperare, quella Enemy of the state claustrofobica e dura, seguita da Tape X, un brano dalla fortissima matrice old school EBM. Il new beat ritorna in tutto il suo splendore con la successiva Factory Child, uno di quei brani che narra di vicende per l’epoca post industriale. Torna imperterrito l’EBM d’annata con Power on demand, la marzialità electro della lenta e claustrofobica Machines of hate, la lugubre Into your eyes (di cui è presente anche un video), le aperture sintetiche e disturbanti, europee, di Emerging souls che strizza l’occhio alle melodie kraut, un altro brano electro come Hollow heads, vicina a certe ritmiche techno-tibali, in quanto Gin Devo ha esplorato questo tipo di sonorità nei suoi side projects Pressure Control e Full dynamic range. Chiude la conclusiva, lunga oscura e claustrofobica traccia che porta il nome dell’album, un ottimo testamento alla musica dei nostri, piena di pathos elettronico oscuro.
E’ ancora il Belgio a dettare la legge del più forte. E fa molto piacere sapere che c’è ancora chi è in grado, oggi, di creare lavori di questo tipo. Il primo dei candidati a disco del 2013.
Voto: ◆◆◆◆◆
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