Pubblicato da Alessandro Violante il dicembre 25, 2014
E’ successo esattamente un anno fa, il 13 dicembre 2013. Il trio tedesco dark electro Tri-state formato da Haldor, Adam e Krebl pubblicò, tredici anni dopo il loro chiacchieratissimo debutto Synopsis, il nuovo capitolo della saga dell’old school dark electro Light the kHAOS within, autoprodotto e considerato come uno dei migliori frutti del genere degli ultimi anni. Un disco molto difficile e staccato dai canoni che il concetto di dark electro possiede in questo momento storico, molto più vicino a quello di band storiche come yelworC e Placebo effect, un disco complesso e multisfaccettato. Non a caso, quando il loro debutto venne fuori nel 2000, vennero considerati i degni successori dei già citati P.E che, a loro volta, almeno così pare, dovrebbero tornare quest’anno con un nuovo album.
Questo nuovo capitolo, Tri-wired world, part 1 (from sYNOPSIS TO kHAOS and beyond), non è affatto diverso dal lavoro dell’anno scorso. Pur non rappresentando un album di soli inediti, qui figurano cinque nuovi brani composti dai nostri quest’anno, una serie di remix e una serie di brani che poi sarebbero diventati quelli presenti nel già citato album del 2013. Il capitolo fa parte di una serie di due episodi, sappiamo già infatti che il 13 dicembre 2015 uscirà la part 2, ma non sappiamo cosa conterrà.
Focalizzandosi sui nuovi brani (una recensione dettagliata del precedente album la trovate qui) c’è stata, da un lato, una ulteriore evoluzione del loro sound anche se, dall’altro, la formula di fondo non è affatto cambiata: dark electro complessa e multisfaccettata in costante bilico tra ritmiche aperte alla sperimentazione rifuggenti il 4 / 4, vocals femminili operistiche, atmosfere cupe, giri melodici sinistri, voce pulita (influenzata dalle linee vocali del dark electro storico e, alla lontana, da Nivek Ogre), produzione cristallina e, aspetto non meno importante, testi impegnati / esistenzialisti. Un forte grado di sperimentazione, quindi, che si manifesta in modo diverso in ciascun episodio. L’opener è uno degli episodi che guarda oltre l’electro (piuttosto che, semplicemente, la sua variante dark), proponendo un episodio molto poco elettronico bensì “ritualistico” e fisico, nella musica come nel testo. Qui si fa riferimento ad uno strano rituale di cui non si conosce lo scopo mentre il ritmo cadenzato e fisico si lascia andare ad una electro sopraffina, distante dall’atmosfera quasi afroamericana, ma solo sul finale, in una successione di note di grande finezza compositiva.
Deep inside invece è l’episodio in cui la ritmica si fa molto frammentata e groovy e i suoni sono particolarmente definiti e oscuri. Il trio ha sempre in testa composizioni teatrali che mirano a far pensare piuttosto che a far male. Una debole melodia sinistra si inserisce nella ritmica conferendo al brano un senso melodico e un maggior piglio. In questa matassa intricata, ma sempre con un occhio fisso verso il senso compositivo, si parla dell’avidità che si impadronisce dell’individuo e che lo rende, in qualche modo, suo schiavo. Ecco che l’electro torna a pigiare i tasti sulla natura individuale e sull’esistenzialismo, indagando fenomeni e stati mentali che ne rimarcano l’intrisceca imperfezione. Insomma, gli individui sono imperfetti e questa musica ce lo vuole ricordare.
Twentyone grams si sviluppa intorno a ritmi meno serrati ma altrettanto rocamboleschi e groovy, complessi e multisfaccettati come tutte le loro composizioni. Qui, in particolare, vediamo un massiccio ritorno dell’elemento vocale operistico femminile che ha lo scopo di enfatizzare tematiche particolarmente complesse e filosofiche. Si parla di cosa ci aspetti dopo la morte e di come questa non costituisca la fine della vita ma una sua trasformazione. Che ci sia un legame tra il nome della band e il principio della trinità? Forse, e questo non è l’unico esempio nella loro carriera: i tre si concentrano, a volte, anche sul potere degli stati di allucinazione.
Anche nella seguente The black hole, il protagonista si pone diverse domande esistenzialiste. Il buco nero è un po’ una metafora del luogo in cui si vive e in cui ci si pongono domande sulla propria essenza di individuo e sul ruolo altrui. E’ proprio quando siamo nella nostra cameretta e non fare nulla di particolare che il viaggio può cominciare e le domande possono cominciare a fioccare rapide e senza una risposta apparente. Musicalmente è un brano lento e multisfaccettato contraddistinto da un pregevole giro melodico oscuro, dall’impiego delle vocals femminili e da un lieve (lievissimo) influsso dubstep che, comunque, non influisce minimamente sul prodotto finale.
Andando un po’ avanti con la tracklist, il quinto e ultimo inedito, The last grain of sand, è un episodio strumentale condito da suoni molto fisici (ma il loro electro è molto fisico, tenendo sempre un piede ben piantato sul terreno e l’altro sulla drum machine), anche qui ricco di vocals femminili. Anche in questo caso, il mood della canzone ci suggerisce domande insolute e viaggi tra stati mentali.
Come prima affermato, la gran parte degli episodi sono delle forme primordiali di molti dei loro brani successivamente portati nella loro ultima release, brani di grandissima qualità compositiva che evidenziano da un lato il songwriting e l’inventiva del trio e, dall’altro, l’indiscusso influsso electro anni ’90 nella fisicità delle ritmiche e nelle atmosfere di scuola Skinny Puppy così come in quelle dei già citati yelworC. I nostri sono uno dei migliori casi di electro industrial composto e prodotto divinamente.
Per quanto riguarda i remix, c’è quello molto fisico ed electro secco di Res Q per Dogma (presente nel debut del 2000), così come quello di Object su sYNOPSIS, per ovvie ragioni più legato al suo trademark(molto ambient e interessante), quello degli altrettanto eccezionali dISHARMONY per tERROR infernaliS, progetto abbastanza vicino alle loro coordinate, e quello dei Framework per Worm of insanity, reinterpretata in maniera più massiccia e moderna.
In definitiva, seppure si tratti di un album estremamente variegato (composto da remix, inediti e versioni precedenti), questo lavoro evidenzia come il trio tedesco abbia molto, moltissimo da dire nel panorama electro (e dark electro), come abbia delle grandissime capacità di songwriting e un grande senso per la sperimentazione e per testi interessanti e ben costruiti. Musica mai banale, da ascoltare nei momenti meno concitati della giornata, quando avete più tempo da concedere a voi stessi. Una delle band più interessanti di questi ultimi anni (e una delle meno ingiustamente premiate da pubblico e critica).
Label: Autoproduzione in collaborazione con Electro aggression records
Voto: 9, 5