Pubblicato da Alessandro Violante il maggio 16, 2016
Immaginate per un attimo di essere due musicisti italiani appassionati di musica industriale negli anni ’80, nel bel mezzo della tape scene, e di essere interessati alle sue potenzialità. Vi sentirete come Giancarlo e Roberto Drago, i The Tapes, attivi dai primissimi anni ’80 ai primi ’90 e malauguratamente caduti nel dimenticatoio fino a poco tempo fa. E’ poi accaduto che la Ecstatic ha pubblicato una loro sorta di best of e che la giovane (ma molto promettente) label svizzera Luce Sia ha deciso di ripubblicare su cassetta un loro lavoro del 1988, Glasaugen (“occhi di vetro”), qui in esame.
I The Tapes appartengono, concettualmente e temporalmente, ad una generazione di musicisti industrial ancora alle prese con un genere le cui potenzialità espressive dovevano essere scoperte e i cui confini erano ancor più labili rispetto alle produzioni odierne, soprattutto sul suolo italiano e, per quanto riguarda i riferimenti culturali e musicali, molto vicina alla lezione dei Throbbing Gristle, di J. G. Ballard e di William Burroughs. Non stupitevi, quindi, se in Glasaugen troverete musica industrial di matrice chiaramente sperimentale e, allo stesso tempo, un brano come The day of silence, etichettabile come wave strumentale minimalista dalla ciclicità ossessiva. La bellezza e la particolarità dei brani contenuti in questa cassetta sta proprio, se lo si sa cogliere, nella volontà di dare forma a nuove idee senza preoccuparsi della perfezione formale del risultato, così come nell’eccentricità delle soluzioni talvolta adottate. Non è raro infatti pensare a certa musica d’avanguardia primonovecentesca ascoltando i momenti di improvvisazione pianistica contenuti in Metamorfosi, in Burning cars e, in misura minore, in Il Manifesto. Sono questi dettagli, oltre a certe imprecisioni la cui spiegazione va cercata nelle registrazioni in presa diretta che i due erano soliti fare, che rendono Glasaugen un lavoro piuttosto interessante e fuori dagli schemi (con le orecchie di oggi) e non, semplicemente, una collezione di balletti retrò dalla dubbia originalità.
Tante le idee, altrettante le forme utilizzate per trasformarle in realtà: Slowly, ad esempio, è una breve strumentale che potrebbe essere attribuita a Lou Reed, mentre The wait è molto più vicina alla musica “sperimentale”-minimalista classicamente intesa che a quella industriale. Qui i suoni evidenziano perfettamente lo stato angoscioso di una lunga attesa, e l’intuizione dei The Tapes di trasportare quella sensazione in musica non è affatto scontata. Cinematografica è The drop, i cui suoni ricordano quelli di uno storno di uccelli, mentre la lenta e decadente Burning cars gioca con la modulazione vocale per studiarne le possibilità. Anche qui è presente un breve momento pianistico improvvisativo che evidenzia il gusto per il “nuovo”.
La musica dei The Tapes e, in particolare Glasaugen, è degna di essere riscoperta per una serie di ragioni: la prima è che il loro è un progetto italiano tra i più interessanti, a cavallo tra minimalismo ottantiano, influenze primoindustriali e retaggio avanguardista; la seconda è che il presente non può essere compreso appieno se non studiando il passato. Queste due ragioni sono più che sufficienti a giustificare un ascolto attento di un lavoro anomalo, che mostra un duo il cui sound non aveva ancora trovato una precisa collocazione musicale, al contrario di quanto può essere ascoltato nella cassetta che Luce Sia, qualche mese fa, ha ripubblicato a firma RD (Roberto Drago), in cui i confini di genere sono sicuramente più netti.
Voto: 8
Label: Luce Sia