Pubblicato da Davide Pappalardo il gennaio 28, 2015
Eccoci a parlare in una doppia recensione di Templezone, progetto sperimentale dai connotati ambient di Giorgio Ricci, musicista coinvolto anche con i First Black Pope, Monosonik, e molti altri progetti. Trattiamo qui di due uscite, Slow beats e la precedente Vidia, rilasciate rispettivamente per le label Laverna e Xonar.
Il lavoro più recente, Slow beats, presenta suoni liquidi e dilatati, giocati non sulla violenza, bensì su un’atmosfera eterea sulla quale si organizzano pulsioni IDM / techno e campionamenti sinistri, in un songwriting sperimentale che si delinea in tracce che riescono a differenziarsi tra di loro pur mantenendo un disegno comune.
Ecco, quindi, pezzi come la sognante Alchemy, ricca di inserti frastagliati e meccanici di natura industriale, accompagnati da linee di cori celestiali che gli fanno da contraltare, e da melodie malinconiche dai beat cadenzati e distorti; questi creano, con il crescere del pezzo, una marcia suadente in cui si aggiungono sempre più elementi in un andamento organico dall’effetto straniante e, allo stesso tempo, delicato.
Un altro esempio è Vanishing street, dai toni quasi trip hop, notturni e striscianti nei loro effetti atmosferici e nei ritmi lenti sui quali si stagliano poi voci femminili e melodie evocative supportate da una drum machine cadenzata e tribale, per un viaggio interiore dai connotati struggenti che non assaltano, ma che ci accompagnano per mano grazie a continue suggestioni che non rinunciano, poi, a connotati quasi techno più incalzanti, i quali, però, sono sempre controllati, in un armonioso gioco di elementi eleganti e quasi new age.
Un mini album adatto quindi all’ascolto introspettivo, capace di creare paesaggi sonori e mondi alieni, ma, allo stesso tempo, appartenenti alla nostra psiche.
Vidia risale, invece, a circa un mese prima, ed è basato sempre su connotati ambient, qui, però, più oscuri ed inquietanti, legati a certe tendenze dark ambient / rhythmic noise che, comunque, mantengono sempre una certa tendenza liquida e dilatata anche tramite l’uso di campionamenti vocali ed effetti sinistri in loop a cui si aggiungono varie tipologie di beat e ritmiche.
Ecco, quindi, i suoni ossessivi di Marenero, dai connotati meccanici ripetuti in un crescendo che aggiunge sempre nuovi solenni effetti industriali, in un minimalismo incalzante che delinea movimenti rhythmic noise vivi e pulsanti che aggiungono, a loro volta, inediti elementi funky in un songwriting non scontato e vario, in cui vari campionamenti vocali si contrappongono.
Al contrario, Xenomorfo ci sorprende con la sua cassa dritta da dancefloor, sulla quale si giostrano campionamenti vocali e beat distorti, in una marcia marziale che avanza sinistra e suadente; troviamo poi connotati trance, mai lanciati e sempre controllati, in un evolvere tecnologico dall’atmosfera ricca di pulsioni incalzanti e dinamiche.
In definitiva, si tratta di due lavori che mostrano due tipologie di sperimentazione parallele e, allo stesso tempo, diverse, più eterea e sognante la prima, più pulsante e oscura la seconda, ma sempre giocate su una matrice in cui linee di synth ed effetti vocali si stagliano su beat di diversa natura e andamenti melliflui interessanti e mai banali.
Label: Laverna / Xonar
Voto: 7