Pubblicato da Alessandro Violante il marzo 18, 2013
Alla ricerca di un passato oscuro, alla ricerca di una musica nascosta, di un mondo ancora tanto, troppo inesplorato, dimenticato in un angolino, nell’angolo più oscuro della musica elettronica industriale, la cui unica colpa è stata quella di essere rimasto ancorato a certi territori, a certi anni, soverchiato dal dancefloor. Oliver Spring è uno dei pionieri del genere del dark electro degli anni ’90, uno dei membri storici del progetto Sleepwalk che recentemente ha pubblicato il nuovo disco (senza di lui), quel Nibiru, prodotto interessante ma che non ha fatto gridare al miracolo, distante dai vecchi lavori di uno degli act più rappresentativi della label tedesca Celtic circle productions. Laddove, all’interno della stessa label, la Electro Aggression Records, la creatura Pyrroline insegue un approccio più intimista e modernista, tEaR!doWn affonda a piene mani nel passato, nelle atmosfere e nei sintetizzatori, nei vocalizzi e nelle sonorità che tanto ricordano le stesse attenzioni riposte nella stessa direzione dai Front line assembly ma soprattutto dagli Skinny puppy e da coloro che dai secondi presero le mosse per creare il nuovo genere. La produzione volutamente old school ma non troppo, non eccessivamente raffinata, quasi novantiana, evidenzia qui allo stesso modo le trame sintetiche, fortemente legate al synth pop degli anni ’80 e i vocal. Il primo elemento fa riaffiorare alcune cose relative ai primi lavori di Ogre e Key, suoni molto lontani da quelli sognanti dei Depeche Mode, esprimono un sentimento arcano e oscuro sulla base dei quali si appoggiano quei vocalizzi che ricordano in maniera ancora maggiore la voce di Nivek Ogre. Non ultimo in termine di importanza, anzi, tema centrale, è il sampling ossessivo, di derivazione electro canadese che talvolta arriva a costituire l’elemento chiave del songwriting. Voglia di tornare ad un passato glorioso quindi, ma senza dimenticare la vita nel presente: quella di Spring è una lezione, allo stesso modo in cui lo è quella altrettanto recente di Ivens, su quale sia il modo di comporre e suonare electro industrial oggi, con la differenza che il gruppo in questione è di impostazione canadese mentre Ivens è figura maestra di quella belga. Quindi, riassumento: synth pop, screams, sampling, guitars. Quintessenza di uno stile che si ripercuote a partire dalla opener A tear falls down part 1 che apre un discorso che viene poi chiuso con il brano finale, che ne riprende le strutture, la part 2. Ed ecco qui il sampling e la dissonanza, la ritmica oscura, lenta e diretta, dove il rumore diventa musica, dove la materia evanescente diventa mattone, e che mattone dopo mattone costruisce l’edificio sonoro. Il secondo step è Lost, un brano lento, pesante, che cambia le direttrici del discorso sul tema esistenziale, chiave dell’intero lavoro, un electro industrial ragionato che lascia poi spazio a Disploded visions un versus con nine seconds. Questa collaborazione dà luogo all’incontro tra il synth pop ottantiano e, alla lontana, la goa di Juno Reactor, quella dello storico episodio Transmissions, che torna inesorabilmente in tutto il fronte statunitense – canadese, basti pensare a Mentallo & the fixer e Velvet acid christ. Le successive Insight e This cold room sono dei brani di ottima fattura che ripropongono la salsa in maniera ottima mostrando le grandi capacità dell’artista. Uno degli episodi più interessanti e particolari è Burnt by the sun che ricorda in maniera poco velata certi brani degli Skinny puppy, c’è un synth molto melodico che accompagna vocal in screaming e un battito, un beat che sale durante il ritornello, che diventa quasi industrial rock, che diventa quasi post industrial canadese ma che, a differenza di questo, mantiene sempre i piedi per terra denotando una ricerca della novità, denotando un senso di appartenenza al passato, un amore per esso ma anche la voglia di andare avanti verso lidi in 4/4, senza esagerare. Nerve conflict (con Venetian blind) è un altro grande episodio di matrice old school mentre Silent noise rievoca ancora una volta gli spettri di Dwayne Goettel (postumi) e di cEvin Key, quelli di The process, e non a caso. Ancora una volta i protagonisti solo le chitarre, il sampling, il fluire elettronico di questo post industrial da bad trip. Play dead cambia nuovamente le carte in tavola in favore di una seconda voce femminile che conferisce spunti ethereal ad una musica che si presta particolarmente a questo tipo di incursioni, il tutto accompagnato da suoni che hanno qualcosa anche dei primi Hocico (un brano su tutti è Beings of relief). Seguono altri episodi interessanti ma che non aggiungono molto a quanto già detto come Not from this world, Melt away (con Head cleaner) e il secondo ed ultimo episodio caratterizzato da vocal femminili e dall’uso ancora insistente, ancora statunitense, delle chitarre miste al synth pop in 4/4 più danzereccio, fino alla conclusiva A tear falls down part 2, che, come accennato prima, riprende in chiave più discorsiva quel che si era iniziato nell’opener, un brano che chiude il cerchio e che evidenzia quanto questo lavoro sia allo stesso tempo un tributo verso la musica del passato e un sasso lanciato verso il futuro, per un ritorno agli antichi splendori di un genere ingiustamente incoltivato dalle realtà odierne. Il discorso prosegue con il secondo disco di remix. Un sound a ragione troppo lontano dai dancefloor, troppo vicino all’anima di chi lo produce e di chi lo ascolta, musica per la mente piuttosto che per i corpi. tEaR!doWn è un nano sulle spalle dei giganti.
Voto: ◆◆◆◆◇
Label: Electro aggression records