Pubblicato da Alessandro Violante il settembre 30, 2015
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Ricordo perfettamente il momento in cui scoprii la musica dei Synapscape partecipando, senza esserne a conoscenza, ad una loro live performance, e fu in quello stesso momento che scoprii quel particolare mondo comunemente noto come industrial ritmico, che lo si voglia chiamare rhythmic noise o powernoise, all’interno di quella che semplicemente, e forse è questa la definizione a loro più adatta, è musica elettronica.
Sì, perchè al di là delle definizioni di genere, Tim Kniep e Philipp Münch sono due tecnici del suono non poi così diversi dai pionieri della musica elettronica, alla costante ricerca del ritmo perfetto, e Rhythm age è il più recente step evolutivo della loro carriera, una delle massime espressioni della ricerca ritmico-industriale del 2015, ma anche un elogio al ritmo, elemento primordiale senza il quale la musica non avrebbe molto senso. Il concetto di ritmo inteso dai due tedeschi di casa Ant Zen è da ricercarsi però nella più recente storia della techno music, dalla quale indubbiamente il loro lavoro ha tratto ispirazione, ed ecco che torna alla mente il detroit sound qui sottoposto a devitalizzazione e distorsione: un suono destrutturato e riprogrammato per essere espletato dalla macchina.
Più che in altri loro lavori, qui la già citata techno è un elemento particolarmente presente, quel tempo quadrato dal quale tutta la loro musica ha avuto origine. La grandezza di questo lavoro non sta certo solo in questo richiamo, ma nella capacità, da parte di Tim e di Philipp, di non rimanere schiavi dei trademark di genere da loro stessi brevettati, che molti loro colleghi hanno poi ereditato e riletto, non sempre riuscendo a mantenere la loro originalità. Laddove Tim rappresenta l’elemento vocale, la voce distorta, apparentemente incomprensibile e siderale, proveniente da chissà quale pianeta, il segreto di tanta originalità sta nell’estrema apertura musicale di Philipp, un musicista a 360° che non pone limiti alla sua fantasia. E’ questa imprevedibilità del suono di ciascun loro album che li rende ulteriormente grandi, e questa regola vale anche in questa sede: Rhythm age è infatti un disco che, per certi versi, prosegue sulla traiettoria di un album come Traits ma che, allo stesso tempo, ne prende le distanze per offrirci un approccio forse meno distorto ma ancor più evocativo, in cui il mood gioca un ruolo fondamentale.
Sembra quasi di trovarsi di fronte ad un debut album, tante sono le variazioni sul tema proposte dal duo di Bielefeld, e invece sono già passati vent’anni dal loro primo disco del 1995, ma i Synapscape non hanno mai perso il gusto per la continua ricerca, e questo li rende ancora oggi, a distanza di tanti anni, una delle massime espressioni della ricerca della coraggiosa formica Ant Zen. Si parlava di ritmo perfetto: slegandosi dalle regole da loro stessi create ed infrante, il duo propone brani tra loro molto diversi, accomunati da una sola parola: ricerca, e allora non c’è più bisogno di creare un album electro, rhythmic noise, post-industrial o IDM. L’importante è sperimentare nuovi modi di rielaborare forme musicali già note, ed è per questo che in Rhythm age non esistono due brani simili tra loro.
La opener Rhythm, cavalcata epica rhythmic noise apparentemente dallo sviluppo semplice ma caratterizzata da una complessa trama white noise sullo sfondo, mostra subito gli artigli, ma la successiva Moon, seppur mantenendo un certo legame rumoristico con la precedente, parte da tutt’altre premesse: strumentale, scarica ritmi di natura tribale più che legati al contesto post-industriale, in cui fortissima è l’influenza sonora dei primi anni ’90, quella utilizzata nei primi lavori big beat dei Fratelli Chimici e di Richard D. James (ma anche nel lavoro di Wieloryb). Loop è una sorta di mid tempo il cui ritmo si apre e si chude perfettamente come in una comunicazione tra due macchine industriali: un suono lievemente distorto e sbilenco che rappresenta al meglio una evoluzione più pulita e smooth del genere, sul cui sfondo una voce distorta (femminile?) si affaccia. I momenti migliori di questo loro nuovo album sono però quelli in cui ci si distacca dalle classiche tirate del genere, e Ufuture è un chiaro esempio di dove stiano andando i Nostri e di una direzione su cui le ritmiche distorte potrebbero spingersi in futuro: una claustrofobica struttura ritmica mutuata dal suono electro industrial degli anni ’90 che, però, di quel genere ha solo l’ossatura. Il suono particolarmente ruvido e il beat direttamente proveniente da una pressa idraulica li distinguono ampiamente dai suoni puliti del genere citato poco sopra.
Fonk è un brano ancora diverso, di matrice IDM ma senza per questo essere astratto, anche se qui la fisicità si fa più smooth, verso un recupero di un suono diverso che affonda nelle produzioni più soft della label: il brano che, invece, recupera maggiormente l’electro e il suo mood mentale è la successiva Them, un brano di denuncia caratterizzato da due elementi: la voce ruvida di Tim e la ritmica mid tempo sbilenca di Philipp, che ricorda anche alcuni episodi degli Skinny Puppy, sempre però rivisti secondo la loro ottica poco ortodossa. Fields è un brano per il quale il precedente richiamo alla detroit techno suona particolarmente bene: il beat è decisamente techno, certamente ruvido ma ragionato come la tradizione vuole, e il suo andamento cadenzato evidenzia la capacità di Münch di creare anche dei buoni brani techno-oriented.
Con Phos si esplorano territori ancora diversi: lande desolate dal sapore dark in cui i Synapscape esplorano il loro lato più sperimentale (e in cui eccellono), mood ambient di pregevole fattura in cui si inseriscono chiari ritmi afroamericani che cercano il recupero del ritmo devitalizzato dalla musica elettronica, un incontro tra culture: il rullo di tamburo afroamericano e il suono sintetizzato postindustriale si incontrano e scoprono di avere molto in comune. Capolavoro. Earth è un episodio ancora diverso e ci presenta i Synapscape che già conosciamo, quelli più granitici e devastanti: un mid tempo basato su battiti massicci che costituiscono l’ossatura, synth oscuri che abbelliscono gli spazi tra le battute, lontani richiami ai ritmi primordiali e la voce distorta di Tim. Anche questo è un brano perfetto e assolutamente non scontato. Ways riesuma i tempi veloci, caratterizzata da una spiccata anima groovy, un altro esemplare episodio strumentale in cui gli elementi comunicano perfettamente tra loro: si tratta qui di musica elettronica in senso stretto piuttosto che di suono industriale, e quel gusto per il breakbeat recupera anch’esso certo suono inglese degli anni ’90 (chi ha detto Loops of fury?).
Rank torna ad esplorare territori più lenti e sbilenchi, meno dark e più aperti all’ambient e all’IDM sulla scia di qualcosa già fatto dalla Warp Records. Le ultime Seat e Sol sono i brani più deboli del lotto, ma non per questo meno interessanti: la prima tenta un esperimento più smooth sulla scia ritmica della microhouse, più vicina a Chicago che a Berlino o Detroit, riuscendoci, mentre la seconda è anch’essa una ambient piuttosto volatile che non colpisce per incisività ma che rappresenta una degna conclusione di un album particolarmente ricco di idee e di ottimi episodi.
Tim e Philipp, in arte i Synapscape, a vent’anni dal loro primo album, confezionano un album che è un omaggio alla storia del ritmo, allo spirito avanguardista di ricerca della Ant Zen e, allo stesso tempo, una ulteriore prova di volontà di uscire fuori dai confini del genere che li ha resi più famosi, coscienti del fatto che la loro fanbase apprezzerà proprio questa loro voglia di rimettersi costantemente in gioco, di stupire sempre, ed è questo che ci auguriamo da loro: che ci spiazzino sempre come sanno fare così bene.
Label: Ant Zen
Voto: 9