Pubblicato da Davide Pappalardo il gennaio 21, 2016
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I lettori della nostra webzine, e non solo, probabilmente conosceranno i nomi di Alessandra Gismondi e Luca Bandini, duo già noto come Schonwald, band da noi recensita in un passato non troppo lontano; i Nostri si presentano ora come Shad Shadows, loro side project di musica elettronica oscura ma anche ariosa – potremmo dire cosmica – ed ammaliante, che dopo l’EP digitale Spectrum uscito a marzo dell’anno scorso si palesa ora con l’album Minor Blues, qui trattato.
Naturalmente non si tratta di una riproposizione di quanto proposto con la band principale (anche perché altrimenti la cosa avrebbe davvero poco senso), bensì dell’esplorazione di certi suoni, partendo sempre da una sensibilità stilistica e sonora di base comune, ma poi delineata tramite nuove vie in cui i synth e la drum machine imbastiscono affreschi sonori carichi di pathos ed ammaliante ambientazione; questa volta, dal punto di vista vocale è l’interpretazione maschile a dominare, districandosi tra un suono che si ricollega sì all’area dark e minimale, senza però mai cadere nella tetra disperazione o il pessimismo totale, tanto da richiamare, in certi episodi, quelli più “concitati” ( se volete passare il termine) degli Absolute Body Control e della scena anni ’80 dedita a tali sonorità. Non mancano, comunque, alcune parentesi più danzerecce, pur rimanendo nell’ambito del rituale spettrale, evitando uscite fuori luogo; insomma, rimangono il garbo e la capacità nel songwriting del progetto principale, qui slegato dal post punk e legato più all’amore per il synth (con alcuni spunti legati alla cosiddetta corrente synthwave recentemente tornata in auge) e le trame puramente elettroniche.
Lisbon decadence apre le danze con timbri elettronici presto raggiunti da ritmiche sintetiche e da effetti in levare, creando il tappeto sonoro per la voce suadente e, in riverbero, del cantante; si genera così un dancefloor lisergico pieno di fumi sonori evocativi, che però conosce anche margini di raccoglimento, richiamando alla mente certe cose dei Primal Scream più elettronici.
Si prosegue con Black suite, la quale, nei suoi neanche tre minuti di durata, si delinea con giochi di pulsioni ritmiche e strati di synth, aprendosi, di conseguenza, a parti cosmiche e cantato sognante, distante, che completa un quadro pregno di correnti sonore in cui la sovrapposizione dei suoni e la sottrazione danno voce all’andamento; l’aggiunta di ritmi più “rituali“ segna la coda finale di questo breve pastiche che trova completo senso nella sua concisa, ma ben articolata, struttura.
Gimme pain inizia con uno strale da film raggiungendo poi nuovi vortici sonori, presto regolarizzati dalla cassa dritta e dalla solita voce strisciante; anche qui, partiture ariose e cosmiche trovano collocazione insieme ad accenni lontani e malinconici di melodia, mai dimenticando effetti elettronici a tratti estranianti. Anche in questa occasione, il songwriting si mantiene minimale ma mai scarno, giocando con sovrapposizioni in crescendo ed improvvise pause in cui sono presenti cesure evocative.
Dreaming over ci dona, sin da subito, atmosfere fantascientifiche sorrette da una drum machine in 4/4, riportandoci presto i synth irreali e spettrali per un certo gusto grandioso, quasi riconducibile a certe tendenze post-witch house, senza però abbandonarsi a derive trip hop care a questo genere, mantenendo invece il gusto cosmico tipico di tutto il disco, suadente e strisciante; un altro episodio, dunque, in cui lo studio dell’ambientazione sonora fa molto, pur rimanendo lontano da ogni concettualismo di modo.
Big dipper pesca a piene mani dall’elettronica minimale, districandosi presto tra trame ritmiche e linee di bassline nebbiose; per l’ennesima volta, è l’aggiunta costante di elementi a far crescere il pezzo, richiamando qui i già nominati Absolute Body Control, ma ecco che magistrali suoni dal gusto epico regalano quell’elemento caratterizzante dei Nostri, inserendosi nella composizione con gusto e nel momento opportuno, arricchendone la narrativa.
Cosmic è, sin dal titolo, un ottimo esempio del disco nella sua totalità: una ritmica robusta ma lenta si dipana tra suoni ripetuti, mentre familiari arie sintetiche e vocals in riverbero creano affreschi sonori di malinconia epica. Qui forse la melodia è ancora più presente, raggiungendo un’anima più marcatamente synth pop, per quanto immersa nella sognante nebbia musicale; c’è un che di britannico in questo, ma l’identità del progetto è ben chiara e delineata, trovando apice nei suoni finali e nei cori che ne sanciscono la conclusione dagli effetti squillanti.
Un lavoro, dunque, davvero interessante, caratterizzato da un impianto di base comune che lega tra loro i brani, pur regalando a ciascuno di essi un proprio movimento ed una propria ragione d’essere; non abbiamo qui nè lo sperimentalismo estremo di altri progetti e neanche il pop elettronico plastico di altri, mantenendo il tutto sospeso in un equilibrio in cui viene evitato un eccessivo lassismo, così come la marzialità estranea alle atmosfere rarefatte, celesti, qui invocate. Un suono buono tanto per l’ascolto personale quanto per serate a tema più ragionate e dedite all’aggregazione, per una danza lenta e strisciante; insomma, il disco è caldamente consigliato sia che già conosciate i Nostri, sia che per voi tutto questo sia un felice incontro.
Label: Disko Obscura
Voto: 8