Pubblicato da Alessandro Violante il agosto 2, 2015
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Il tanto atteso nuovo e chiacchieratissimo lavoro dei tedeschi Serpents ha visto finalmente la luce, e la Electro Aggression Records ha avuto l’indubbio pregio di riportare l’attenzione su una realtà cult di cui negli ultimi anni non si è parlato abbastanza, complice anche uno stop di ben cinque anni che separa State of war dal suo immediato predecessore, Immer voran!, originariamente uscito solo in digitale.
La storia dei tedeschi Claus Kruse (meglio noto con lo pseudonimo di Plastic Noise Experience) e di Kazim Sarikaya è simile a molte altre: si tratta di una realtà storica posizionabile tra l’EBM di inizio anni ’90 e il primo suono electro-industriale, che dopo aver goduto di fama e dopo aver prodotto ottimi e molteplici dischi durante gli anni ’90, ha conosciuto un lento declino dal 2000 in poi, anche a causa dell’interesse spostatosi, in quegli anni, verso altre sonorità molto più influenzate da generi come la trance e la techno.
Il mastodontico doppio album per la label di Nader Moumneh rappresenta quindi un graditissimo ritorno ed un ottimo biglietto da visita per gli anni a venire. In questo lavoro, è possibile osservare e, soprattutto, ascoltare, due lavori molto diversi tra loro: il primo disco, il già citato State of war, rappresenta il duo nel 2015, mentre il secondo disco contiene Immer voran! del 2010, ed è in assoluto la prima volta che il secondo viene pubblicato su cd, sebbene, rispetto all’originale, qui siano presenti alcuni interessanti remix, soprattutto ad opera di Plastic Noise Experience ovvero Kruse stesso, e alcune versioni registrate nel 2015. La differenza tra i due album è piuttosto evidente, e si può certo affermare che, se Immer voran! è un ottimo disco EBM dalle tinte electro, State of war va ben oltre e, recuperando il loro caratteristico trademark fatto di trame EBM minimaliste e sonorità electro unitamente ad una voce fortemente distorta con un particolarissimo quanto inusuale gusto raffinato per la melodia, dimostra quanto sia possibile esprimere con i mezzi apparentemente più semplici. Si tratta sicuramente della loro vetta più alta.
State of war non è un lavoro di electro cupa e filosofica, è una dichiarazione di resistenza ad una guerra che è iniziata nel lontano 1989 con The clock strikes the midnight, è l’orgoglio che trasuda dalle ruvide trame elettroniche così tipicamente tedesche. Lontani da complicate evoluzioni sbilenche, il suono di Kruze e Sarikaya è apparentemente semplice, back to the basics, il tutto inserito, ed è questa la differenza principale col lavoro del 2010, all’interno di un contesto molto meno quadrato e imprigionato nel beat ballabile. Escludendo gli interessantissimi remix, ai tedeschi bastano dieci brani per mostrare tutto il loro valore: si comincia subito con uno degli episodi migliori, My life, my being, che sintetizza molto bene la formula dei Nostri: la parola d’ordine è groove, e si comincia subito con uno dei migliori inizi di album EBM, non si sta esagerando. Ormai lontani e distanti dalle regole di genere che i nostri hanno contribuito a creare, in questi primi quattro minuti c’è di tutto: le linee vocali ben calibrate, un ritmo tarantolato e sintetico, un pizzico di melodia e quelle pause poste al posto giusto nel momento giusto. Tensione e distensione qui vengono espresse nel modo migliore possibile, difficile fare di meglio, ma i Nostri riescono a tenere molto alta la soglia di attenzione quasi per tutto il loro lavoro.
Resistance riparte da capo senza adagiarsi su facili soluzioni: si parte con un mid tempo ballabile moderno nel suo richiamo alle sonorità elettroniche per poi far scaldare i motori nel ritornello, molto melodico e sorretto molto bene da una cavalcata in 4 / 4 decisamente groovy. Il messaggio qui è chiaro: la tribù (e il capo indiano in copertina, lo stesso presente non a caso nel lavoro di debutto dell’89) lotta tramite la musica per la propria indipendenza, e, trasposto al discorso svolto dai Serpents, il duo lotta per resistere al gusto dominante e proporre con fierezza il proprio sound nel panorama post-industrial.
State of war, che dà il titolo all’album, è uno dei brani più moderni, non tanto per le sonorità adottate, quanto perchè, ascoltandolo, si sente chiaramente come quel sound, in un determinato periodo storico, abbia giocato un ruolo decisamente importante nell’evoluzione del genere: vocals fortemente distorte come se ne sarebbero sentite a partire dagli anni 2000, influssi trance e bassi potenti, senza per questo sfociare in un sound mainstream. Qui i due utilizzano questa spinta propulsiva per dare maggior forza al proprio potere, per cercare di mostrare all’ascoltatore la pesantezza della loro guerra, e le battute secche e marziali in background ci fanno trovare nel campo di battaglia. Ci vuole il gioco di variazioni melodiche per ricordarci che ci troviamo ancora su lidi EBM, seppure le influenze siano tante, e si sentano echi di antiche tribù che, prima di loro, lottarono allo stesso modo e ne furono antesignani.
Con I’m near si torna ad esplorare invece lidi più introspettivi e minimalisti, lontani dalle influenze danceable, mediati da un certo gusto electro-industriale e dal primo EBM, e il testo vi si adatta di conseguenza: non più inni alla resistenza, ma esplorazione dei rapporti interpersonali. La melodia, raffinata e minimalista, rimanda all’oriente. La successiva Violence è, a dispetto del titolo, un balletto meccanico piuttosto minimalista e catchy in cui il testo, provocatorio, mira a svegliare la mente dell’individuo dormiente nel Sistema. Si prosegue con l’altrettanto ispirata e minimalista Inside, mid tempo molto ben ritmato in cui la melodia di stampo oscuro permea un brano che anche qui è piuttosto introspettivo, ma bisognerà aspettare la successiva My heart will beat again per ascoltare qualcosa di diverso che rompa ancora una volta gli schemi del duo.
Un incedere lento, una melodia cupa e goticheggiante, linee vocali più umane e un testo carico di rivalsa, nonchè, anche qui, un gusto sopraffino per le pause, molto importanti nella formula dei Nostri. Queste le caratteristiche principali del brano che, pubblicato qualche mese fa su Soundcloud, destò l’attenzione circa l’uscita dell’album. Si prosegue con gli ultimi tre inediti, Undefined, unknown desire, sempre minimalista ma più ricca di soluzioni ritmiche, caratterizzata da uno spiccato gusto per la melodia, il mid tempo hardcore di Your master, che nei suoni e nell’incedere ricorda i Pouppée Fabrikk, e la più sperimentale You hide, un brano in cui vecchi sintetizzatori si incontrano e danno forma a trame melodiche d’altri tempi, più techno che EBM, una degna conclusione per un lavoro che mostra il duo al massimo della loro forma, ancora in grado, dopo tanti anni, di cambiare gli sviluppi del genere.
Agli inediti segue la consueta serie di remix, a partire dalla versione più propriamente electro-industrial di Resistance ad opera dell’alter ego di Kruse, PNE, una versione molto più cupa e astratta della title track ad opera del brasiliano compagno di etichetta kFactor, che trasforma completamente l’originale, una versione di Violence molto più serrata e rapida ad opera di CYBER, una versione più legata all’old school electro di My heart will beat again realizzata dai The psychic force, più orientata verso suoni synth-pop, l’electro moderna di AD:key che rilegge Your master rallentandola e conferendola una maggiore aura goticheggiante, una versione di Resistance molto più “fisica” operata dal progetto Pyrroline e la particolare rilettura swedish EBM di My life, my being da parte degli Astma, che trasformano il groove del brano in un balletto elettronico di matrice vagamente anni ’80.
Rispetto al nuovo lavoro dei Nostri, Immer voran! evidenzia un act più imprigionato in schemi quadrati ma che di certo non ne banalizzano la proposta, alternando esplorazioni quasi tribali nell’opener Steh auf a mid tempo più canonici ma non meno personali come in Komm noch naeher e la title track, passando per l’electro di Glaub an mich e le sferzate più veloci e accattivanti in Zeig dich e soprattutto nella breve e tirata Waehle. Degna conclusione del lavoro è Das zweite leben, in cui ritmi sostenuti, voce distorta, suoni electro-minimali e una dose di synth pop anni ’80 convivono perfettamente insieme. Si tratta di uno dei brani più old school. I remix, ad opera di PNE, esplorano la dimensione più electro dei brani proposti, dilatandoli, inserendo molteplici livelli e voci femminili e spezzandone le rigide ritmiche EBM. C’è spazio anche per remix dei loro brani storici, sempre interpretati attraverso la formula della tirata sintetica electro old school arricchita da female vocals.
In questa doppia prova due sono le conclusioni alle quali è possibile giungere: la prima è che in cinque anni i nostri sono cresciuti moltissimo, riuscendo a trovare, con State of war, la loro formula ideale, dopo anni di sperimentazione nei generi electro ed EBM, anche grazie a quanto fatto nei side projects, mentre la seconda è che, dopo tanti anni di attività, il duo tedesco dimostra di essere ancora immer voran, ovvero sempre avanti. Cinque anni sono passati, ma così com’era attuale Immer voran! nel 2010, così lo è State of war cinque anni dopo: una grande prova di resistenza.
Voto: 9
Label: Electro aggression records