Pubblicato da Alessandro Violante il ottobre 14, 2015
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Caratteristico delle opere prime degli sperimentatori votati alla creazione ex novo della materia musicale è, più che un loro accostamento, una sorta di presentazione di differenti soluzioni sonore che verranno poi approfondite nei loro lavori successivi, quando questo accade. Altre volte, semplicemente, la paura di rimanere ingabbiati in strutture fisse e di perdere preziosa energia creativa in un qualsivoglia processo di inquadramento ha il risultato di fornirci sempre un’interpretazione musicale libera da schemi fissi, che la si voglia chiamare processuale, ongoing, che la si voglia ricondurre alle esperienze degli happening Fluxus e, in generale, alla dimensione performativa artistica, e così via.
Qualunque sia la vostra opinione in merito, Luca Valisi, già attivo con progetti tra i quali Mechanics for dreamers, Ludmilla e L’Océan, è senza dubbio riconducibile all’interno della schiera della musica sperimentale. P.U.M.A è la sua nuova emanazione, e il titolo dell’album sta semplicemente a significare il primo atto, la prima “esperienza” (concetto quanto mai fondamentale per la comprensione di questa musica) di questo creativo musicista.
Ascoltare questi tre brevi brani significa recuperare il carattere primordiale del ritmo e della musica elettronica, ma anche quello sperimentale di quegli artisti che, decenni prima, sperimentarono nuovi modi di fare musica, una musica particolarmente legata all’esperienza performativo-artistica, ed è lì, in quell’hic et nunc, che la musica di Luca Valisi acquista senz’altro quell’aura che purtroppo nell’ascolto casalingo è solo vagamente immaginabile.
Ciononostante, per quanto questa tipologia di artisti tenda ad uscire da quegli schemi quadrati che ci fanno battere il famoso piedino, un ritmo interno è sempre ben presente (se lo si vuole ascoltare), così come accade in musiche solo apparentemente free form come la power electronics. La musica è ritmica in sé, e questo carattere intrinseco può essere colto molto bene anche nell’opener 01, in cui più influenze musicali entrano in contatto e formano un pout pourri multiculturale: l’incisivo ritmo primordiale di lontana derivazione afroamericana, i clangori metallurgici, le dissonanze e, in generale, un mood esperienziale che ci fa sentire nel bel mezzo di un luogo in cui modernità e antichità coesistono liberamente e conversano tra di loro attraverso i differenti strumenti utilizzati.
Questa sensazione di dialogo tra differenti culture muta in 02. Ora ci troviamo in un deposito di treni o in una fabbrica durante l’orario di chiusura, fate voi. Rimane la concretezza del profondo ritmo interno nudo, spogliato da qualunque ulteriore accenno di abbellimento melodico-ritmico. Il brano è aperto da un ritmo ciclico che poi lascia il posto ad una ritmica disturbata, offuscata da un denso strato di nebbia che non lascia percepire quello che vi si muove al di sotto, ovvero una aspra ritmica che si ripete sempre. Qui c’è tutto il carattere ridondante ed alienante del ritmo ciclico e sempre uguale a se stesso. I suoni lancinanti hanno il compito di acuire questa sensazione di chiusura, mentre il pesante – e soprattutto incombente – battito quadrato richiama più il tempo del lavoro scandito nel Metropolis di Fritz Lang che i balletti meccanici di ispirazione techno. Al termine del brano, la quadratura va via e quello che rimane è il già citato aspro ritmo in sottofondo.
03 è più propriamente una breve suite dark ambient, di matrice più chiaramente industrial e caratterizzata da un’atmosfera allucinante, anche grazie ai pochi suoni utilizzati, più lancinanti. Qui l’ascoltatore ha sempre la sensazione che il climax debba far esplodere il brano da un momento all’altro, ma questo non accade mai. Si tratta di una sorta di brano da colonna sonora per un film alla Blade Runner. Il brano, dopo qualche attimo di silenzio (e qui c’è il sempre presente richiamo al silenzio come elemento musicale in John Cage), mostra un breve ed oscuro beat quadrato di matrice techno-industrial, che oggi sta conoscendo una seconda giovinezza grazie ad una nuova generazione di artisti.
Molteplicità di approcci e gusto per la sperimentazione, sempre con un orecchio proteso verso la modernità: il suono di P.U.M.A, seppure mai velatamente orientato alla performance dal vivo, presenta all’ascoltatore il suo particolare approccio, che per molti versi richiama i padri della sperimentazione musicale e della materia industriale, e che per altri cerca una via personale al genere.
Voto: 8
Label: Xonar records