Pubblicato da Alessandro Violante il marzo 1, 2014
Immaginate che una disgrazia si sia abbattuta su tutto quello che conosciamo. Cumuli di macerie ricoprono quel che un tempo era il mondo conosciuto, e una immensa nuvola di fumo è diventata il nuovo sole. Fredda cronaca di una realtà oltre la nostra quotidianità che farebbe impallidire anche il 1984 di Orwell. Laggiù, sotto quei resti, non si anniderebbe neppure il Grande Fratello in persona. Elegia di una catastrofica distopia che nulla ha più di umano, che porta solo distruzione. La distruzione fisica della copertina di questo lavoro mal si riflette nel suono che di fisico ha molto poco ma che, al contrario, scandaglia le paranoie mentali e si nutre delle estremizzazioni di sindromi di fine millennio che, ancora oggi, tra questi solchi tornano a nuova vita. Nuovi edifici che crollano? Sicuramente, ma non per portare qualcosa di grandioso, non per esprimere una rivolta in atto, ma per documentare un futuro senza speranza. La distopia diventò realtà: questo lascia presagire che già ci siamo dentro e che, nella maggior parte dei casi, non ce ne rendiamo neanche conto. Sarà il frutto di un delirio, sarà vero e, se sì, in quale misura? Saperlo poco importa. Quel che importa maggiormente è che undici brani di splendido electro industrial all’europea, pescando a piene mani dalla tradizione del less is more, ci consegnano undici piccole gemme provenienti da altre epoche, da altri panorami musicali: quelli degli anni ’80 e, soprattutto, quelli dei primi anni ’90, ma non è una gara. A volte, si sa, la disperazione è la forza catalizzatrice per realizzare cose fuori dal comune: e tale è questo recentissimo lavoro di Philipp Münch, già mente dei progetti Synapscape, The rorscharch garden, Ars moriendi e molti altri. Tra i maggiori capostipiti della moderna elettronica pesante tedesca, sperimentatore e innovatore di sonorità, cesella con attenzione e con precisa chirurgia una serie di brani che, seppure nella apparente semplicità suscitata nell’ascoltatore dall’utilizzo di suoni appartenenti ad altre ere, convincono sempre con soluzioni mai banali nelle quali regna incontrastato il mezzo tempo. Cantore di destini infausti, professore della maceria, giunto al terzo disco solista, stavolta insieme a Loss, insegna il mestiere a tanti compositori di musica fine a sè stessa. Qui l’artista si fa quasi da parte, sembra quasi non esistere, tanto è rilevante il contesto e il concetto alla base del lavoro. Lasciatevi trasportare in questi scenari desolati che trasudano ritmiche e sintetizzatori puri e crudi che puntano direttamente alla vostra corteccia cerebrale. Questo è electro industrial che fa rima con powernoise così come con il punk più becero e la dark ambient. A questo lavoro non manca niente. Dovrebbe passare dallo stereo di tutti gli appassionati di questo genere musicale.
Voto: 9
Label: Ant zen