Pubblicato da Davide Pappalardo il gennaio 5, 2016
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La Grecia è una terra che può a tratti, almeno sul versante musicale, sembrare contraddittoria: i suoi scenari mediterranei infatti spesso nascondono un forte amore per le varianti più oscure del mondo musicale, siano esse legate al metal estremo, al dark, o all’elettronica.
Ecco perché il progetto Paradox obscur non deve più di tanto stupirci, proveniente da quelle parti con un minimal synth particolarmente oscuro e tetro, a tratti depressivo, composto dal duo Toxic razor (drum machine e synth) e Kriistal Ann (voce); dopo l’omonimo debutto del 2014, rieccoli con Anacrusis, lavoro di dieci tracce che prosegue sulle coordinate prima elencate, con un sound analogico e scarno che punta il tutto su atmosfere fosche e retrò dove le vocals si saturano di riverberi e la ritmica robusta tiene il passo dei 4/4.
Ecco quindi il mantra da trip lisergico di Drone, la quale non perde tempo, offrendo una bass line imperante ed evocativa segnata dai colpi di drum machine, e presto raggiunta dalla voce effettata dalla cantante; i rimandi alla vecchia scuola minimale degli Absolute body control e compagnia sono ben presenti, con suoni elettronici mai troppo delicati e sognanti, altresì inquieti e futuristici, ripetuti con fermezza in modo ossessivo.
Burn sposta ancora di più il piede sul minimalismo, con un’atmosfera essenziale dove lascive intonazioni sensuali s’ incastrano con una sorta di pulsione tecnoide rallentata all’inverosimile e trattenuta, colmata da battiti distribuiti ed impennate di synth poco rassicuranti; l’evocazione sonora è quella di vicoli bui ed abbandonati e di suoni notturni lontani, in uno scenario metropolitano fumoso dove si tengono affari loschi lontani da occhi indiscreti.
Blackened rite gioca sull’epico, inserendo effetti futuristici e cosmici, sui quali viene introdotta una ritmica robusta completata dalle vocals solitamente sornione della Nostra; il rimando ad un certo synth minimale anni ottanta è ancora una volta ben presente, collimando il tutto con i già accennati suoni retrò dal gusto fantascientifico. Una sorta di colonna sonora per un tetro film che esiste solo nella nostra testa.
Deconstruction sposta l’asse verso un certo suono dark electro a cavallo tra ottanta e novanta, gotico sia nella voce che nelle melodie malinconiche ripetute in sottofondo, ariose e alternate da alcuni montanti ancora una volta legati ad un certo gusto futuristico, ma allo stesso tempo dal nostalgico piglio legato al passato, per quell’anacronismo sonoro che caratterizza un certo tipo di corrente sonora.
Coal and dust sposta addirittura la lancetta verso certe soluzioni di fine anni settanta e primissimi ottanta, con un sound davvero basico, quasi da videogame, sul quale Ann declama suadente la sua lezione strisciante; un tripudio di suoni sintetici che farebbero l’invidia dei Welle:Erdball, dove non vengono risparmiate tastiere vorticanti alla OMD.
Insomma, un lavoro chiaro nelle sue coordinate ed indirizzato agli amanti dell’elettronica minimale, analogica e nebbiosa, e del songwriting basato su pochi ed indovinati elementi, spesso ripetuti in modo ossessivo; questa è la forza e, al tempo stesso, la debolezza della band, la quale entra ancora una volta in un genere dedicato ai fan, ma dove forse qualcuno potrà trovare una certa, giustificabile, monotonia.
Può sembrare frase fatta, ma una certa forma mentis è condizione sine qua non per entrare in sintonia con quanto qui offerto; i modi sono quelli del rituale sintetico e lisergico, preferibilmente notturno, magari con una nebbia che fuori rende tutto opaco e carico di una certa atmosfera. Il consiglio è comunque quello di dare un ascolto e decidere. Il tutto è suonato bene e mai in modo causale, cosa non sempre ovvia nel genere in questione; un buon album, quindi, che merita considerazione, pur non rivoluzionando nulla.
Voto: 7, 5
Label: Peripheral Minimal