Oggetti e Immateriale

Pubblicato da Alessandro Violante il settembre 9, 2015
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Cory Arcangel, Various Self Playing Bowling Games

Una questione centrale, non solo nell’ambito della new media art, è l’analisi delle conseguenze del processo di smaterializzazione delle opere d’arte. L’uso delle tecnologie digitali, assieme alla prospettiva di un dispositivo di fruizione unico, è legato alla possibilità che un numero potenzialmente elevato di opere non sia conservabile per le generazioni future. La ragione è legata a due fattori: l’obsolescenza degli strumenti di riproduzione, che ha già creato qualche problema, e il deperimento dei supporti. A ben vedere, non è solo un problema delle tecnologie digitali, visto che una serie di tecnologie di grossa diffusione e.g., VHS, Super-8, 78 giri e musicassette non sono utilizzabili, oggi, se non con attrezzature fuori commercio. Eppure il tema della conservazione delle opere è diventato così dibattuto nell’era del digitale per motivazioni che sembrano di difficile lettura.

Evidentemente, nelle arti visive, si sta passando da una fase, durata secoli, in cui il supporto fisico e.g., la tela o i materiali solidi delle sculture, ha dimostrato, grazie anche ai restauri, di resistere alle insidie del tempo ad una fase in cui non è ben chiaro se e come sarà possibile fruire le opere. L’assenza di formati standard di largo uso sopratutto nella fascia alta, e.g. ogni produttore di macchine fotografiche ha il suo formato per le immagini non compresse, può creare problematiche di obsolescenza e/o d’interoperabilità fra apparecchiature.

Da un certo punto di vista, la questione appare filosofica e sembra riguardare un’altra questione. Come osservato sull’articolo Ebb #1, il museo, nella sua funzione di conservazione delle opere, ha un ruolo di legittimazione dell’importanza delle opere d’arte ed un ruolo di custode della tradizione, visto che le avanguardie di questo secolo si sono legate all’utilizzo dei supporti della modernità nella contrapposizione, non solo dal punto di vista linguistico, rispetto alla tradizione. Nell’introduzione di Pittura Fotografia Film, László Moholy-Nagi mette in chiaro come, dalla sua prospettiva, il rinnovamento linguistico dell’arte sia legato essenzialmente allo sfruttamento delle possibilità dei mezzi legati alla visione meccanica. Anche se è avvenuto che quelli che allora erano i nuovi mezzi siano ormai usati per fare arte linguisticamente tradizionale, i.e. la fotografia s’associa ormai al ritratto più che alle sperimentazioni grafiche, si sono poste le basi filosofiche per l’associazione ideale tra nuovi media e nuovi linguaggi. La struttura tradizionale delle sale museali però non s’è mai adattata a questo mutamento, tant’è che ad oggi i musei d’arte contemporanea sono generalmente separati, come spazio architettonico, dai musei tradizionali.

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Walter Benjamin

Da un altro punto di vista, una delle spinte al collezionismo, come rilevato anche da Walter Benjamin, è la memoria personale del collezionista, al punto che “il fenomeno della collezione perde il suo significato con l’assenza del collezionista“. In altri termini, anziché essere visto come il prodotto di un processo d’accumulazione, la collezione è vista come la memoria di quello che si è apprezzato, altrimenti, in assenza del proprietario, sono solo degli oggetti messi per giunta in modo generalmente casuale. L’assenza degli oggetti, propria di un’era dell’immateriale, sostituiti da un oggetto unico e in grado di fare fruire più opere implica l’assenza della memoria? Anche se un’opera in formato 78 giri non è ascoltabile, l’oggetto fisico può dare indizi sul suo contenuto oppure una fotografia rovinata da segni di ciò che era ritratto. Un file è fenomenologicamente un oggetto completamente neutro, un qualcosa di indistinguibile in assenza di un metodo di decodifica opportuno. Se l’etichetta di un vinile o un fotogramma rendono distinguibili due oggetti tra loro, i file su un lettore, non essendo visibili come fenomeno, non sono distinguibili.

In quest’ottica, la problematica posta dalla new media art acquista un’altra prospettiva che non è quella della conservazione, visto che, in realtà, è comune a tutte le forme d’arte. Se la forma della fruizione diventa legata al linguaggio utilizzato, questo fa sì che e.g., la presunta superiorità del linguaggio della musica classica venga associata all’uso dell’orchestra e la questione inizi a vertere non sull’opera ma sulle condizioni, anche sociali, della sua fruizione col rafforzamento dello status di istituzioni come i musei. L’assenza di un oggetto che reifichi un’opera comporta un potenziale pericolo per il ricordo della stessa e potrebbe riportare all’era del racconto delle opere, e.g. anche se non abbiamo possibilità di ascoltare Franz Liszt suonare, abbiamo i resoconti scritti dell’epoca, e possiamo giustificare l’importanza del critico o del curatore. In ogni caso, non sembra essere discusso il vero problema che dovrebbe essere posto: cosa vale la pena conservare?