Nine inch nails – Hesitation marks

Pubblicato da Alessandro Violante il settembre 9, 2013

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Recensione scritta a quattro mani: Donpelajo & Martina F.

E’ innegabile che il nuovo disco targato NIN sia stato considerato una sorpresa e, immediatamente dopo la notizia che ne annunciava l’uscita, uno dei lavori più attesi di quest’anno, in prima istanza perchè Trent Reznor è stato, nel bene e nel male, vero o falso che sia, uno dei personaggi più importanti della musica alternativa anni ’90, mai troppo vicino agli schemi della MTV generation eppure, per certi versi, parte del carrozzone insieme ad altri artisti come Marylin Manson. Il motivo principale che però spinge a parlare di questo prodotto è che il suo monicker è, a torto o a ragione, una forte fonte di ispirazione per molti di coloro che sono affini al contesto musicale post-industriale, in particolar modo quello legato al genere dell’industrial rock, del quale senza dubbio il suddetto progetto è il massimo esempio commerciale, forse l’unico che riesce ad avere delle vendite importanti. Vuoi per l’avvicinamento alla formula pop, vuoi per l’estro del polistrumentista e soprattutto per la sua forza comunicativa, che ha giocato e gioca un ruolo fondamentale per l’inserimento della sua proposta all’interno degli scaffali di molti negozi di dischi, a scapito della maggior parte dei suoi colleghi (e non).

Questa sottile, ma non velata, accezione negativa è conseguente solo all’ascolto di questa ultima costruzione sonora, non di certo per chi ha ancora gli occhi al passato della peregrinazione artistica dell’artista, iniziata con un simil industrial rock di pronto successo e proseguita sempre più verso l’elettronica e il rock ad episodi alterni.  NIN nel 2013  fa rimpiangere quello che Trent ha fatto con il suo side project How to destroy angels nel recentissimo passato, ovvero dopo la pubblicazione del primo full length.

L’operazione dell’artista potrebbe essere riassunta come il tentativo di dimostrare le sue doti di produttore e di selezionatore di suoni all’interno di un microcosmo musicale che và dal brit rock all’electronica, passando per i ritmi africani del dub e dell’hip hop. Cosa ne viene fuori? un disco estremamente eterogeneo che mostra molti lati della sua creatura poliedrica, ma che trova la sua identità in un troppo lungo ed informe collage.

Dopo una breve introduzione, evitabile, Copy of A, uno dei brani migliori, evidenzia dal punto di vista lirico e da quello musicale un attaccamento alle radici di una elettronica minimale in cui un motivo facilmente memorizzabile costruisce un brano incalzante electro pop che fa ben sperare, e il successivo singolo Come back haunted, nel suo leccare la teoria del disco d’oro e delle classifiche riesce comunque a convincere con la sua eterna sincope che fa presa sull’americano medio, e non solo. Find my way è il primo brano lento e funziona bene nella migliore tradizione di quei brani che, nella loro personificazione degli stati d’animo degli ascoltatori hanno fatto e fanno il successo del brand NIN, e così via per brani non particolarmente degni di nota ma comunque ben composti fino al succitato brit rock di Everything, al dub di Satellite per poi tornare verso lidi legati in misura maggiore al side project.

Senza particolari reminiscenze, nulla in questo album riesce a mantenere in auge l’abilità nella sperimentazione di Reznor, che si limita, in più riprese, ad esorcizzare nei testi la figura mera e precaria dell’essere umano. Ci sono brani per tutti i gusti che funzionano molto bene e che faranno breccia in più di qualche cuore, ma che non trasmettono niente al di fuori del riuscito prodotto di un supermercato che vende sempre e comunque.

Ma la musica, e questo dipende da chi la concepisce, non è un supermercato ma una forma d’arte e, secondo chi scrive Trent non fa più musica per fare arte, perchè al di là dei suoni, della produzione e dei testi riciclati si trova il vuoto cosmico di chi ha finito di dire quello che voleva dire. Questo concetto è lontano da quello di industrial ma, infatti, egli non lo è più e non è neanche un artista elettronico. Bisogna riconoscergli, però, che riesce ancora oggi a rendere al meglio quello che il mercato propone con il suo tocco personalissimo. E’ tanto? E’ poco? E’ abbastanza? Forse è abbastanza, e questo non è per niente male, ma se cercate musica fatta per fare musica il consiglio è quello di rivolgersi altrove.

“A copy of a copy of a copy ..”

Label: Columbia records

Voto: Donpelajo: 6,5/10 – Martina F. : 2/5

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