Pubblicato da Alessandro Violante il dicembre 10, 2015
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La morte di Don Joyce dei Negativland è un motivo per riconsiderare lo strumento con cui questo collettivo di critici culturali ha rappresentato il proprio Paese: il campionamento. Sono stati ideali continuatori, in altri campi, delle idee di Adorno e Debord sull’Industria Culturale e sul suo immaginario, che viene svelato attraverso il détournement, arma di disvelamento dei meccanismi di manipolazione del gusto collettivo.
Il primo caposaldo fu Helter Stupid, basato su uno scherzo giornalistico, in cui un vero omicidio viene falsamente descritto come se fosse stato ispirato da Cristianity is Stupid. In tal modo venne messa in scena una critica della tendenza allo scandalismo dei media e della supposta percezione di pericolosità della musica non pop, tant’è che la seconda parte del disco è una specie di show radiofonico di Dick Vaughn, personaggio inventato da Richard Lyons, ideatore dello scherzo, in cui viene messa in scena la “musica moribonda degli anni ’70“, all’insegna dell’amore e dei buoni sentimenti, temi che, per altre ragioni, con gli U2 avrebbero avuto altri sbocchi.
Partendo dalle registrazioni di Casey Kasem, presentatore di American Top 40, i Negativland presero in giro, più che I Still Haven’t Found What I’m Looking For, il modo in cui la musica viene considerata dai media, dato che, in uno dei tanti campioni, il conduttore radiofonico li scambiò per inglesi, anziché per irlandesi. Il processo che causò la distruzione del disco li portò alla considerazione più feconda: la possibilità che la dottrina del fair use possa essere applicata al campionamento. Il fair use, nella giurisprudenza americana, è il concetto secondo cui l’uso di un registratore audio o video non costituisce di per sé un danno per coloro che possono riprodurre materiale audiovisivo, e tale è il principio secondo cui l’uso del videoregistratore è legale per uso personale.
L’estensione artistica che ne fecero i Negativland verte sul concetto che il sampling non sia un plagio, a differenza di quanto spesso asserito dalla giurisprudenza corrente. Il presupposto di partenza è che la decontestualizzazione di un frammento di un’opera non la rende, per questo, una copia, e quindi un falso dell’originale, ma una nuova opera originale. Sebbene quest’approccio pecchi di una certa opacità per quanto concerne il concetto di decontestualizzazione, visto che la differenza tra una semplice citazione e la costruzione di qualcosa di nuovo a partire dalla citazione è spesso sottile, basti considerare l’uso del campione nella attuale musica dance, si rivela fondamentale per una serie di considerazioni relative al riuso estetico, cardine dell’evoluzione dell’Arte.
“C’è bisogno di ricordare che la proprietà privata della cultura di massa è una contraddizione in termini?”
Con questa semplice domanda del saggio Fair Use, i Negativland dimostrarono la solidità dell’apparato concettuale che li sostenne, e determinò una svolta nel loro percorso. Se fino a quel momento il loro lavoro fu solidamente orientato verso una presa in giro del mondo dei media o della provincia americana, con quel saggio iniziò il percorso che li portò ad una profonda critica culturale dell’industria dei media. Consci del fatto che la cultura di massa è influente ma anche influenzata dai fenomeni sociali, compresero che il contesto in cui alcuni messaggi sono inseriti è una parte del messaggio anziché un semplice abbellimento estetico.
In altri termini, lo stile di vita associato nella sfera pubblicitaria a certi prodotti non è un modo per renderli appetibili, ma un processo secondo cui il prodotto fa propaganda di uno stile di vita. In questo modo, uno stile di vita, attraverso i meccanismi pubblicitari, diventa un prodotto sul mercato. Il détournement mediale diventa, quindi, lo strumento utile al fine di rendere evidente la dipendenza dal contesto, formalmente eliminato, che viene ricordato dall’ascoltatore, perché è cultura di massa, di cui ne viene svelata la natura di costruzione culturale.
Da questa concezione nacquero i capolavori Free e Dispepsi, commentari di una cultura imbevuta di consumo e pubblicità, ed una serie di progetti affini sarebbero arrivati alle cronache musicali, Tape Beatles su tutti, che avrebbero rimasticato la cultura di massa e l’avrebbero portata ad una sorta di Sociologia in musica.