MDS51 – Fear reactor

Pubblicato da Alessandro Violante il settembre 4, 2015

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Nel mai troppo affollato panorama dei musicisti dediti alla costruzione di ritmiche cacofoniche e distorte, trova sufficiente spazio anche la creatura MDS51, una realtà tedesca già attiva da parecchi anni ma che sta conoscendo solo ora i suoi ben più che warholiani cinque minuti di celebrità grazie alla recentissima pubblicazione, da parte della tedesca Sleepless Records Berlin, del suo lavoro più recente, Fear Reactor. Il piuttosto enigmatico trio, il cui acronimo deve essere interpretato come Massiccio Sistema Distorto, i cui membri vestono un passamontagna per essere ancor meno identificabili, utilizza la materia noise, tingendola di un mood particolarmente denso e oscuro, allo scopo di evidenziare l’incubo del postmodernismo nella sua accezione orwelliana, tanto amato da gran parte dei musicisti postindustriali.

La minimalista trama quadrata rhythmic noise, motore primordiale delle undici emanazioni di questo lavoro, evidenzia il semplice quanto perfetto anello di congiunzione tra l’alienato abitante della metropoli postmoderna e il respiro delle macchine con le quali interagisce in maniera sempre più profonda. Nessun bisogno, quindi, di ricorrere a voli pindarici ed inutili divagazioni tecniche: Fear Reactor è basato, sin dalla cover, sull’espressione di un sound monolitico, monocromo (per citare un loro brano), in cui la fisicità e la freddezza metallica del ritmo non sono autoreferenziali, ma una riflessione sull’essere umano e sulle sue debolezze.

Ecco quindi che gli MDS51 recuperano, nella cover artwork, la statuaria antica per esprimere, da un lato, un ritorno al minimalismo, e dall’altro quella fisicità e quella forza che manca all’uomo-vittima postmoderno, che invece si ritrova nella fierezza delle statue romane e greche del periodo classico.

Musicalmente, sebbene non siano certo considerabili una realtà particolarmente originale, i Nostri si presentano, al contrario di molti altri progetti per molti versi affini, come una band vera e propria, che viene completata, in sede live, da ulteriori membri. Dal punto di vista strettamente musicale, il sampling riveste una parte fondamentale nel tentativo, ben riuscito, di aumentare, nell’ascoltatore, la sensazione di oppressione, creata dalla ricorsività delle ritmiche marziali e annichilenti, come accade nella sofferente opener Fear reactor, trama ritmica particolarmente minimalista sulla quale si staglia la voce declamatoria e distorta.

Altrettanto declamatoria e marziale è Dead man thinking, una riflessione sull’essere umano (in lingua francese), i cui suoni, come già detto in precedenza, rifiutano qualunque tipologia di velleità per mettere chiaramente in musica il suono delle fabbriche e dei macchinari: freddo, distorto, ricorsivo, annichilente. Anche Hazardous course mette in mostra ritmi lenti e, anche in virtù di questo, particolarmente oppressivi, e background power electronics senza alcun compromesso, mentre Pendu evidenzia il loro mood più decadente. Encounter si nutre di ritmi lenti e di sampling, ingredienti semplici come quelli utilizzati nei prodotti fatti in casa, emanazione rallentata e ulteriormente disturbante di quanto detto venticinque anni prima da Dive nel suo First Album, di cui Fear Reactor costituisce una variante più lenta e doom.

Oltre ai ritmi lenti e disturbanti, i Nostri sono però capaci di creare balletti meccanico-ritmici potenti e primordiali, come la techno distorta di Contact, nata dentro una centrale nucleare immersa in un cupo landscape periferico industriale che non ha mai visto i raggi del Sole, ode alla perfezione formale della macchina. La stessa ricorsività, lo stesso ritmo annichilente e industriale anima Darker, un episodio scuro come la pece in cui l’umanità è solo un lontano ricordo. Le linee vocali distorte ne cantano il declino. Bloody work è un episodio più ballabile, altrettanto debitore di quanto fatto da Dirk Ivens tempo addietro, balletto meccanico sul quale si staglia la voce femminile, anch’essa priva di qualsivoglia emozione. Clark III è da annoverare tra gli episodi più quadrati e techno-oriented del lotto, sporcati dalla cacofonia, ricorsivi e angoscianti, sempre a metà tra ritmo, cacofonia e tappeti in background di chiara ispirazione power electronics. Chiude l’album una rilettura di Warm leatherette di Grace Jones anch’essa cantata dalla voce femminile, senz’altro il brano più umano e catchy dell’album, una versione electro minimalista di un classico riletto da decine di artisti, ma il cui testo ben sintetizza la formula degli MDS51: hear the crushing steel, feel the steering wheel.

I tedeschi MDS51 sono degni esponenti di una corrente ritmico-rumorista che fa dell’oltranzismo e della rilettura della filosofia ivensiana del less is more il suo punto di forza. Fear Reactor si presenta solo apparentemente come un lavoro semplice, in cui l’esiguo numero degli elementi utilizzati è ben più che sufficiente per esprimere il concetto, il che è quel che più sta a cuore a questa misteriosa creatura. Un altro centro per la label berlinese.

Voto: 8

Label: Sleepless Records Berlin