Pubblicato da Davide Pappalardo il gennaio 29, 2017
Oggi FLUX presenta una intervista veramente interessante a Marcello Ambrosini, l’autore del libro Post-Industriale: La scena italiana anni ’80, un libro davvero dettagliato focalizzato sulla scena italiana post-industrial degli anni ’80, il primo manuale riguardante questo peculiare tipo di musica in un luogo e in un momento in cui fu una realtà veramente underground. Gli abbiamo chiesto alcune domande riguardanti il suo libro, l’idea che sta alla base della sua realizzazione e alcune idee circa alcuni argomenti.
1) Benvenuto su FLUX! Come è nata l’idea per un libro come Post–Industriale: La Scena Italiana Anni ’80, ovvero quella di trattare il panorama italiano della scena industriale anni ’80 e dei suoi derivati?
Non volevo scrivere l’ennesimo manuale sul punk o sul prog, ma fare un libro che non fosse già sugli scaffali delle librerie. Ripetere cose già raccontate da altri non mi interessa. Quello che stavo cercando, cioè un argomento inedito a livello editoriale, l’ho trovato nel movimento post-industriale. Resta il fatto che, anche se io ascolto (quasi) di tutto, da Alberto Camerini a John Zorn passando per gli Inti-Illimani, la mia musica favorita è quella industriale. Diciamo, quindi, che è stato un piacere per me colmare questa lacuna libraria.
2) Nella prefazione al libro, l’entità collettiva denominata “Luther Blissett” introduce il discorso parlando largamente dei legami e differenze tra scena industriale e Futurismo, avanguardia rumorista e derive punk ed alternative, presentandoci una filologia non accademica, ma ben ponderata. Quanto è importante questo discorso per comprendere l’argomento trattato nel testo?
Visto da un certo punto di vista, tutto ciò che hai menzionato può essere legato da un unico filo conduttore. Il movimento futurista sta alla base di un certo discorso di rinnovamento della musica e la scena industriale è parte di questo percorso. Semplificando le cose, le tappe fondamentali si possono fissare in quattro punti: 1) la creazione dell’Intonarumori di Russolo e Piatti e la pubblicazione del manifesto futurista L’Arte Del Rumore. 2) il pianoforte preparato e il non-silenzio di John Cage. 3) la musica concreta teorizzata e composta da Pierre Schaeffer e Pierre Henry. 4) l’esordio discografico dei Throbbing Gristle e la fondazione della loro etichetta Industrial Records.
3) Scrivere un libro su un genere non certo alla luce del sole in Italia, soprattutto nella decade qui trattata, senza a volte materiale telematico a supporto e con poche informazioni su progetti esistiti anche solo per la durata di una cassetta, non deve essere stato sempre facile. Quali sono state le difficoltà e le gioie, le scoperte e le riflessioni, nate durante la sua stesura?
Sì, effettivamente la ricerca del materiale è stata difficoltosa. Molti musicisti non avevano nemmeno più la copia personale di alcuni loro lavori. Ad ogni modo, per fortuna, parte del materiale lo avevo già a casa, raccolto negli anni, ma altro sembrava essere introvabile. Mi vengono in mente i Crime ‘O’ Nautix, né Rodolfo Protti nè Stefano Giust, i due componenti del progetto, avevano una copia della loro unica cassetta. In questo caso ho messo mano al portafoglio e pagato profumatamente ad un venditore-aguzzino l’unica copia rimasta sul mercato di questa cassetta. Nel corso di questa lunga ricerca, che è durata più di due anni, ho avuto anche una piacevole sorpresa, avendo trovato un demo inedito di M.B., persino lui ne aveva perso memoria.
4) Come si colloca il testo rispetto ai precedenti tentativi per mano italiana di trattare questo panorama sommerso, come per esempio la versione riveduta da parte di Paolo Bandera del Manuale di Cultura industriale, o INDUSTRIAL [r]EVOLUTION di Giovanni Rossi?
Ho letto con grande interesse il capitolo scritto da Paolo Bandera intitolato “Italonoise”, breve, per motivi editoriali, ma ben fatto. Lo ritengo molto competente su questo argomento, e più in generale una persona colta e intelligente. Il capitolo scritto da Bandera è stato il primo passo, il mio libro il secondo, vedremo chi compirà il terzo e verso quali direzioni. Per quanto riguarda Industrial [R]evolution, il libro di Giovanni Rossi, nella prefazione del mio libro Luther Blissett lo ha definito “un affastellato e confuso tentativo”. Non so se hai mai incontrato i tipi che si celano dietro il nome Luther Blissett. Beh, sono degli elementi veramente poco raccomandabili e io, per paura di incontarli sotto casa con cacciaviti e chiodi pronti a rovinarmi la collezione di vinili, non mi permetterei mai di contraddirli. Mi sono spiegato, no?
5) L’esperienza del mondo (post)-industriale italiano anni ’80 è una parte molto importante della tua esistenza, da te valutata come “una faccia positiva dell’esistenza”. Puoi spiegarci meglio questo aspetto?
Il discorso a cui fai riferimento, cioè la faccia positiva dell’esistenza, nasce da un’esigenza del tutto personale, in quanto prima di scrivere questo libro stavo cercando un argomento che si discostasse il più possibile da quello da me trattato nel mio saggio precedente, nel quale parlavo di malapolitica, i cui protagonisti erano politicanti-nominati, quindi personaggi altamente negativi. Il positivo da me individuato nella scena post-indutriale italiana, conseguentemente, sta nel fatto che tutti i suoi protagonisti, non scendendo mai a compromessi con il mercato discografico, ma agendo unicamente sospinti da una vera passione verso la musica, sono rimasti, per così dire, dei “puri”. Delle vere mosche bianche, almeno in questa società di voltagabbana.
6) Qual è la tua valutazione per quanto riguarda la scena italiana attuale? Ritrovi lo stesso spirito ed intenzioni del periodo degli anni ’80?
Dopo 36 anni, la scena industriale italiana è più che mai depressa e ansiosa. Ha un amore viscerale per i tavoli da 2 metri quadrati con sopra almeno un computer Apple. Lo schermo illuminato di un Apple fa piombare il musicista in uno stato di trance, tipo quello provato dai neonati quando vedono le api volare sopra la culla. E’ la classica crisi di mezza età. Capita a tutti. Pure Dante in tempi non sospetti ne ha parlato: nel mezzo del cammin di nostra vita…
7) Il libro viene accompagnato da un CD contenente alcune chicche, tra cui inediti e pezzi molto difficili oggi da reperire, presentando alcuni nomi trattati nel testo, quali Ain Soph, F.A.R, Sigillum S, Tasaday etc. Come è nata l’idea di un supporto musicale al libro, e come sono state reperite le tracce?
Il CD è stato compilato da Stefano Gentile e pubblicato via Officina Fonografica Italiana e Spittle Records. L’idea del supporto allegato al libro è tutta della Goodfellas, la casa editrice. Devo dire che sono stati bravi a contenere il prezzo del prodotto finito: libro di 288 pagine più CD a 22 euro (18,70 se acquistato online). I vari gruppi li ha selezionati tutti Stefano, io mi sono occupato solo dei F:A.R., uno dei miei favoriti, non solo tra quelli post-industriali. In questo modo ho voluto ringraziarli per tante cose.
8) Musica industriale a Parma: parlaci della situazione, sia storica che odierna, della tua città riguardante questo aspetto.
Parma è rimasta la città ducale dell’800. I K.D.N.R. nel loro box intitolato Play avevano inquadrato bene la situazione, scrivendo sulla copertina la frase: “RACCOLTA DI OPERE GRANDIOSE ERETTE SOTTO IL FELICISSIMO REGNO DI SUA MAESTA’ LA PRINCIPESSA IMPERIALE, ARCIDUCHESSA D’AUSTRIA MARIA LUIGIA DUCHESSA DI PARMA, PIACENZA, GUASTALLA”. L’altro nome storico dell’industrial parmigiano è quello dei T.A.C. Per quanto riguarda la scena odierna… se c’è qualcuno batta un colpo! Io sono qua, curioso di ascoltarvi. Comunque, anche se non fanno musica industriale, di gruppi recenti in giro per Parma mi piacciono i Lourdes Rebels.
9) Arte e musica “contro”, due elementi legati in modo indissolubile, anche se qualche accademico potrebbe dissentire al riguardo. Cosa ne pensi di questo legame? E’ importante secondo te che la musica conservi un qualche intento artistico, senza ossequi ed imposizioni?
Solo i bambini sono artisti. Un adulto che si bea di questo titolo, 99 volte su cento, è solo un artistoide. Io ho sempre preferito l’incolto al colto, il non-accademico all’accademico, chi infrange le regole a chi le rispetta. Insomma, all’artista preferisco l’autodidatta. Certo che se uno ha la sciagura di essere adulto, colto e accademico e non riesce più a pensare come un bambino non si deve perdere d’animo, per salvarsi gli resta la follia. Quasi sempre c’è una soluzione, bisogna cercarla.
10) Grazie per il tuo tempo. Vuoi aggiungere qualcosa per chi segue FLUX?
Del tipo fatti una domanda e poi datti una risposta? Non sono mai stato un fan di Marzullo.