Pubblicato da Davide Pappalardo il aprile 30, 2016
I Manunkind sono un duo russo, precisamente di Mosca, formato nel 2015 da Eugene Gin e Dee Grinski, dedito ad un suono abrasivo di matrice death industrial, dove largo spazio viene dato a colpi di incudine ed asperità power electronics, prediligendo un approccio diretto, violento e rigoroso, come da migliore tradizione del genere (pensiamo quindi agli MZ.412 più feroci e a nomi come i Brighter Death Now), in cui una certa carica marziale si unisce ad urla e mantra industriali dalla natura assassina.
I Nostri si presentano al pubblico con l’omonima cassetta limitata pubblicata per la Materia Productions, un EP composto da quattro tracce che ben rappresentano la loro proposta, forse non innovativa, ma sicuramente robusta e di presa per gli amanti del suono industriale più violento e trascinante; i temi lirici e musicali sono, insomma, quelli cari alla tradizione del genere, tra ritualismi moderni, violenza estrema, aberrazioni sociali, e tutto l’armamentario mutuato da nomi come i Whitehouse e i gruppi sopra menzionati.
Acéphale (il nome della rivista creata dal filosofo francese Georges Bataille a fine anni trenta del secolo scorso e il termine col quale viene identificata la sua visione legata al pensiero di Nietzsche) è una degna introduzione, caratterizzata da un iniziale passaggio dark ambient dai toni sacrali, presto violato da rumori noise e da un’implacabile drum machine pestata che ci stordisce con i suoi colpi ripetuti, mentre urla disumane si ripetono in un’atmosfera da incubo eterno; non ci sorprende la conclusione affidata a distorsioni abrasive, che vogliono far tutto tranne che allietarci. The grave for 500.000 soldiers ci accoglie con suoni quasi cosmici, che sottintendono una tensione pronta a liberarsi, mentre vocals distanti si mostrano come fantasmi nella nebbia; inevitabile il crescendo ritmico e di synth, che aumenta fino all’esplosione industriale dal sapore cinematografico (con un suono non dissimile da quanto proposto dallo svedese Trepaneringsritualen) in cui un’antimelodia ci ammalia, fino alla conclusione, ancora una volta ostica e caotica.
When the first human being wants to sleep è sin dall’inizio incentrata sulla ritmica, unendo synth vorticanti e trascinanti, unitamente a squillanti suoni da fabbrica; ecco poi attacchi meccanici da treno impazzito che mostrano, ancora una volta, il gusto del duo per le trame sonore concitate, intervallate qui da rallentamenti e sottolineate da versi in lontananza, filtrati e resi disumani. La conclusiva The filth Κάνωβος (ovvero La sporca Canopo, una stella e un’antica città egizia dedita a perversioni e stravaganze, ma anche il vaso in cui gli egizi tenevano gli organi dei morti) ci saluta con loops frastornanti presto uniti a versi sacrali pesantemente filtrati, che creano una struttura noise sempre più ostica e dedita all’abrasione sonora; un episodio, questo, più legato alla power electronics, perfetta conclusione per questo breve, ma intenso, esempio di anti-musica violenta, ma allo stesso tempo anche ammaliante e trascinante.
Un esordio decisamente interessante in cui troviamo vari riferimenti alla tradizione della materia death industrial più violenta e rituale; certo, forse gli ascoltatori più smaliziati coglieranno al volo le varie influenze qui presentate, ed è vero che nulla qui rivoluziona la corrente di riferimento, ma questo non impedisce di godere di un songwriting ben ragionato e strutturato, capace di dare una direzione al rumore e di offrire assalti ritmici senza pietà. Se amate il genere, l’ascolto è caldamente consigliato.
Label: Materia Productions
Voto: 7,5