LUCE SIA – Il ritorno alla meccanica del suono

Pubblicato da Alessandro Violante il febbraio 2, 2016

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La label svizzera LUCE SIA ha tutta l’aria di essere una delle realtà potenzialmente più interessanti del panorama musicale di quest’anno (e dell’anno appena trascorso) per quel suo carattere genuinamente sperimentale e fuori dai ristretti confini di genere in cui è facile rimanere bloccati.

La label di Sacha Rovelli e di Nebojsa Bacic è nata solo l’anno scorso, ma sono già in molti, soprattutto nella cosiddetta scena post-industriale italiana, a parlare egregiamente di una creatura i cui lavori, la maggior parte dei quali ripescati da cilindri spesso ingiustamente rimasti a prendere polvere nel dimenticatoio, hanno come unico denominatore la ricerca di approcci più o meno originali, a seconda della release.

Alcune di queste, come quelle del pluriacclamato Paolo Bandera ovvero SSHE Retina Stimulants e di Devis Granziera (già New Processean Order e Teatro Satanico) possono forse sembrare più “di genere”, ma sono dei casi isolati e, ad ogni modo, sono anch’essi piuttosto interessanti.

Dopo pochi mesi, LUCE SIA ha pubblicato su cassetta (essendo una tape label) già otto lavori, alcuni dei quali sono riedizioni di vecchi brani, come nel caso di quelli di Gerstein e Roberto Drago, ma ha anche pubblicato nuovi brani del già citato Paolo Bandera ma anche di Otur Boyd, l’autore di Ten hot injections, da noi fortemente acclamato e uscito pochi mesi fa. Oltre a presentarsi come label fortemente underground, di cui si ha una certa scarsità di notizie, la LUCE SIA si distingue per un packaging molto curato ed interessante, oltre che per una musica spesso di confine che spazia liberamente tra il noise, la sperimentazione tra generi molto differenti e la wave, senza dimenticare la cosiddetta Musica Contemporanea, della quale un lavoro come quello di Devis G, From Magnetic Tapes, è intriso in più punti.

Prendendo in considerazione più in dettaglio le singole uscite, quello di Devis G (From Magnetic Tapes) è un viaggio tra il 1988 ed il 1990 che unisce Musica Contemporanea ed impalcature noise, le quali nascondono, sotto una folta coltre di nebbia, fraseggi ritmici tutt’altro che scontati, ma anche esperimenti sonori di qualsiasi genere. La musica di Devis G è fortemente cinematografica e, per l’epoca, decisamente innovativa e fuori dai confini che vogliono la musica come sempre facilmente definibile e catalogabile.

La doppia release di Gerstein (Sucker / Suck harder), noto ai più come Maurizio Pustianaz, è un altro pavone dalle piume sempre cangianti: d’altronde, i brani coprono un arco temporale che va dal lontano 1990 fino al 1999, e ci presentano un artista piuttosto eclettico, alle prese con ballabili atmosferiche di sapore quasi wave così come con costruzioni rock tipicamente new wave e balletti meccanici di matrice lontanamente esoterica e sinistra, ed è alquanto interessante e caratteristico il massiccio uso del pianoforte che si sposa meravigliosamente con le trame sintetico-elettroniche, conferendo loro una umanità davvero non comune, ed evidenziando lo spirito, in un certo senso pionieristico, del suo lavoro.

Il lavoro di Paolo Bandera è, perlomeno nelle intenzioni e nel concept, piuttosto originale. The Colloidal Semantika Sessions Vol.1, così come tutto il lavoro di Bandera in generale, deve essere immaginato come la trasposizione in musica di pensieri ed analisi filosofiche molto profonde e complesse, immaginabili come il risultato di una ideale jam session tra Marinetti e le parolibere futuriste, Burroughs e Gibson. Quel che ne ascoltiamo è solo una conversione musicale di questo pensiero, un pensiero dalla natura così complessa che solo il noise, coi suoi giochi di frequenze, può cercare di rendere nel miglior modo possibile. Il noise è una sorta di materia primordiale che può trasmettere tutto e niente allo stesso tempo, ed è grazie al suo carattere primordiale ed astratto che si lega perfettamente alle complesse analisi di Bandera.

Questa stessa impronta filosofico-concettuale è applicabile ad un lavoro di cui già parlammo abbondantemente, Ten hot injections di Otur Boyd, nome d’arte di Moreno Padoan. Il carattere principale di questa tape è la sua natura rivoluzionaria e avanguardistica in un genere spesso contraddistinto da rigide regole definitesi nel tempo, che lo hanno portato ad un vicolo cieco. Padoan qui recupera, più che la musica, il concetto di sperimentazione primonovecentesca e lo ripresenta attraverso le sue lenti di individuo postmoderno, non inventando forse molto di nuovo, certo, ma tentando di riportare in auge la sperimentazione musicale più sincera (perchè la materia cacofonica-rumoristica, ci insegna Padoan, è un flusso a partire dal quale creare sovrastrutture di ogni genere, come un insieme di punti in geometria) attraverso dei brani la maggior parte dei quali, tralasciando qualche episodio più vagamente ritmico, ci mostra quanto ancora sia possibile fare in musica e non sia ancora stato fatto. Ripartire da zero per creare qualcosa di nuovo non è sinonimo di passatismo (tanti lo hanno già fatto in altri contesti, si pensi solo a Sonar e, prima di questo progetto, a Dive), ma un passo talvolta necessario per capire dove si sta sbagliando quando ci si perde nel cieco autocompiacimento.

Quello di Terreni K, Arte Sanguine, è un particolare tributo ad alcuni maestri del cinema horror italiano, definibile a cavallo tra il dark ambient, l’industrial e la musica sperimentale, caratterizzato da una importa atmosferico-sonora molto cinematografica. Un largo uso di clichè da b-movie è presente in questi brani, unitamente a certe trovate più originali, come in I tre volti della paura ispirato al medesimo film di Mario Bava. Non un lavoro imprescindibile questo, ma sicuramente una buona idea e qualche brano sopra le righe.

Confusio Solis di Conscientia Peccati è l’unica release non italiana, ed è quella che si distacca maggiormente dalla gamma di sonorità proposte, nelle altre release, dalla label. Martin Steinebach ci trasporta indietro nel tempo in un contesto medievaleggiante in cui calde ritmiche di strumenti a percussione, danze medievali, motivi di flauto ed antichi strumenti a corda entrano in diretta relazione, lasciandoci immaginare un mondo ormai dimenticato e tramandatoci spesso solo tramite i libri di storia.

Quella di Federico De Caroli, in arte Deca, è l’ultima release finora pubblicata dalla label, risalente al 1993, ed è forse la più interessante e ricca di stili, mood, ritmiche e sonorità differenti che vengono rese insieme in maniera impeccabile, facendoci riflettere su quanto l’Italia, già nel 1993, avesse avuto tanto da offrire, ed è forse tutta questa carne al fuoco sullo stesso album che non ha permesso a De Caroli di uscire dal relativo anonimato, di ottenere un relativamente grande successo in un panorama musicale che cerca spasmodicamente di catalogare tutto in maniera morbosa. In questa tape ci sono brani concettualmente e musicalmente vicini alle prime ondate rumoristiche industriali come Metallodro, con le sue fredde percussioni, ma anche episodi a metà tra il ritmico ed il flusso rumoristico come l’opener Spectralon frequentia e Aquaradar. La musica di De Caroli si articola sempre in complesse composizioni che, nel suono, rievocano certe colonne sonore anni ’80, ma anche, perchè no, i videogiochi d’epoca. Si tratta di un lavoro che ancora oggi, tralasciando i suoni utilizzati, non si fatica a ritenere attuale e pieno zeppo di trovate interessanti.

Questa è LUCE SIA sino a questo momento, e per i prossimi mesi si prefigura un roseo proseguimento di quanto iniziato, sempre con una forte voglia di seguire un approccio personale, non tanto e non solo legato a generi particolari, quanto ad una più generale idea di ricerca e sperimentazione intelligente, proponendo vecchi lavori (ma di inestimabile valore storico e musicale) ma anche nuove opere indubbiamente interessanti.