Pubblicato da Alessandro Violante il maggio 7, 2015
Il capitolo conclusivo della trilogia dedicata alla pornografia dell’artista italiano Le cose bianche, noto ai meno come Giovanni Mori, stupisce per la versatilità dell’approccio. Rispetto al secondo capitolo, Pornography should not be an illusion (qui la recensione), in Born troviamo una vasta gamma di riferimenti e di approcci musicali alla materia.
Alcuni esempi sono il gioco di parole Born / Porn, lo stile pop art della cover artwork (in linea con certe tendenze, se possiamo chiamarle tali, che recuperano il gusto pop per il collage), le immagini sovrimpresse (che ricordano vecchie pellicole cinematografiche, e che, nel titolo, citano A serbian film), le citazioni letterarie, in particolar modo Henry Miller e, soprattutto, da un punto di vista lirico, un flusso di parole, una riflessione sulla vita e sul dolore, sul rapporto dell’uomo con la pornografia intesa nella sua dimensione privata. L’interesse umano per la sfera della pornografia è una pulsione, per citare la teoria di Freud, il tentativo di liberarsi di un peso e di un dolore, una valvola di sfogo per l’uomo alienato dell’età postmoderna, in cui il rapporto interpersonale viene ostacolato, favorendo una sorta di devianza. Diventa difficile, quindi, avere una storia d’amore e provare sentimenti. Ormai incapace di comunicare amore, rimane il consumo dell’atto.
Due sono le differenze principali che dividono questo terzo ed ultimo capitolo, uscito per la Old Europa Cafe, dal precedente album. La prima è la presenza della voce come elemento portante e nitido, non ricoperto da un muro di noise ma valorizzato, quasi come se, soprattutto nei primi brani, il contenuto testuale fosse ben più importante di quello musicale, ed è questa la prima impressione, che spesso viene confermata. La seconda è la presenza di un ritmo ben ascoltabile, la ricerca di un tempo, di una scatola all’interno della quale muoversi, e questo si evince in molti brani. Non più libero flusso cacofonico, quindi, anche se talvolta presente, ma interesse per la costruzione di una sorta di struttura che ospiti il flusso, la tempesta cacofonica con la quale il power electronics si manifesta in quanto tale.
Questo secondo aspetto rende il lavoro ancor più accostabile ai primi vagiti della musica industriale e, in particolare, a quelli dei Throbbing Gristle, piuttosto che a quelli dei Whitehouse. Del resto, Giovanni sa che comporre due volte il medesimo album è un errore madornale che porta rapidamente i lavori nel dimenticatoio, spesso in un panorama in cui tanti, tantissimi, producono i loro album. Quel che realmente distingue questo album dagli altri è l’attenzione e il gusto per testi complessi e poetici, inquadrabili citando il Surrealismo di Miller, la scrittura automatica, e una narrazione sincopata e continua, come un collage, che si ritrova nell’estetica beat e, in particolare, nei libri di Jack Kerouac.
Musicalmente, come da tradizione, non mancano gli ospiti di qualità: Sul principio sadico di piacere, insieme al deus ex machina italiano Maurizio Bianchi, è un drone proveniente da un pianeta lontano, in cui suono e rumore si fondono perfettamente, il ritmo di Riduzione delle membra a steppa, con l’aiuto di Eraldo Bernocchi, è scandito da una chitarra ampiamente distorta, marziale e annichilente, Autofocus, insieme ad Emidio Clementi, è un esperimento più legato alla musica sperimentale, immerso in una atmosfera spacey. Through your teeth, insieme a Iugula-thor, è la classica pioggia noise oltranzista, opprimente e lancinante, anche grazie alle urla sgraziate del singer, mentre Il predominio della mente sul corpo, questa in collaborazione con Caligula031, stupisce per la profondità dei testi, per la musica quasi asservita alle parole, per la volontà del Nostro di creare una sorta di canzone, per la volontà di esprimere secchiate di parole e sensazioni, alternando pause a recipienti di puro pensiero vomitati sull’ascoltatore.
La domanda che nasce spontanea al termine di questo complesso ascolto, tutt’altro che monolitico e noioso, è: ci può essere della poesia e, quindi, dell’emozione, nell’oltranzismo sonoro, quale il power electronics è? La risposta è affermativa. Le cose bianche, in nove brani, gioca col noise, lasciandolo alle volte in secondo piano per porre l’attenzione sul flusso surrealista dei testi, trasformando la sua originaria connotazione per esprimere qualcosa di potente, non necessariamente culturalmente elevato, ma che desta la nostra attenzione. Born è una espressione particolarmente originale della formula cacofonica, e in questo sta la singolarità dell’album, che, e questo è certo, non finirà tanto facilmente nel dimenticatoio.
Label: Old Europa Cafe
Voto: 8, 5