Pubblicato da Davide Pappalardo il gennaio 12, 2016
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Elettronica minimale dalla Francia: non certo una novità per gli amanti della musica elettronica di tale tipo, la quale vanta diverse band francofone dedite a tali sonorità; La Main, il progetto qui recensito, si colloca perfettamente in tale contesto con il suo secondo album Nous ne serons plus rien, seguito dell’autoprodotto Ton nom del 2012, il quale offre dodici episodi caratterizzati da oscure storie d’amore dominate da un certo romanticismo nero e pessimista, il quale si ricollega a tutto un universo culturale e letterario che gli amanti della cultura francese e non solo possono identificare molto facilmente, tra simbolismo e quadri di Goya. Il suono rimane sempre sulle direttive del minimal synth retrò legato strettamente agli anni ’80 e alle atmosfere sognanti e decadenti tessute dal sintetizzatore e dalla drum machine, non dimenticando la voce piena di riverberi di Joann Guyonnet, mente del progetto.
Si parte con l’evocativa A lock e con le sue tastiere adagiate su bass line emotive, le quali ci regalano “malinconiche” melodie presto accompagnate dal 4/4 dei beat e dalla voce lontana del cantante; verso metà brano suoni simili a quelli della cornamusa si aggiungono alla struttura, anticipando un trionfo di suoni dal carattere emotivo molto forte.
La titletrack offre linee vorticanti tempestate da una drum machine sempre molto ordinaria, mentre il cantato in francese è questa volta più presente e frontale, strisciando suadente tra i suoni; segue poi l’arrivo di tastiere nebbiose ed evocative che completano il quadro di un brano tranquillo, giocato su tensioni sospese piuttosto che su esplosioni.
Until the dawn si apre con un suono meccanico sul quale vocals eteree trovano presto posto, generando un bel groove ala Depeche Mode, irrobustito poi da synth e tastiere sognanti; una sorta di orologeria sonora dove il gioco dell’addizione viene usato per far crescere man mano il pezzo.
J’ai porté ta peau è più giocosa, districandosi tra suoni sghembi e stridenti in un concerto borbottante, trovando poi spazio anche per la voce del Nostro, mentre i refrain si palesano con onde sonore improvvise; anche qui il tutto rimane controllato con un gusto per l’atmosfera mai messo in secondo piano.
Il lavoro si chiude con Une promesse non tenue, la quale ci sorprende con effetti quasi sperimentali e noise posti in apertura, con linee oscure che intervengono ad intermittenza tra suoni striduli; ecco un imponente effetto in levare che ci riporta a certi esperimenti ala Trent Reznor in modalità ambient. Dopo ciò, la struttura si concretizza in un synth pop tetro in cui la voce si districa, sempre suadente, tra gli effetti vorticanti e i taglienti suoni in sottofondo, non dimenticando bass line sentite e suoni di pianoforte; un finale quindi decisamente più sostenuto, pur non cadendo mai nell’eccesso violento, non consono al suono del progetto.
Tirando le somme, si tratta di un lavoro di minimal synth / retrò davvero ben fatto, che ha allo stesso tempo un tema sonoro e lirico ricorrente, senza però scadere nella ripetizione continua; una certa varietà a livello di songwriting e soluzioni riesce ad evitare la trappola in cui cadono molti colleghi, ovvero la monotonia, offrendo invece un lavoro completo capace di narrare tramite la musica, e di emozionare l’ascoltatore. Promosso a pieni voti, e di sicuro un progetto da tenere strettamente d’occhio in futuro.
Voto: 9
Label: Stellar Kinematics