Pubblicato da Alessandro Violante il ottobre 16, 2014
30 anni dopo la pubblicazione di Opium, il loro primo album in studio, i KMFDM, i più importanti protagonisti della storia dell’industrial rock, sono giunti, con Our time will come, al traguardo del ventesimo album in studio (includendo il disco in collaborazione con il celebre Tim Skold) ed escludendo i molteplici side projects e gli innumerevoli best of / live. Detto questo, è impressionante constatare quanto, sebbene alcuni giudizi della critica non risparmino niente e nessuno, il combo capitanato da Sascha Konietzko riesca a mantenere fresco il sound della sua band, sempre al passo con i tempi. Certamente i tedeschi / statunitensi hanno inventato una formula riproposta in tutti i loro lavori (nella sua accezione moderna, soprattutto da Attak in poi) e la hanno più o meno seguita fedelmente, spesso autocitandosi. Tuttavia, sebbene anche in questa sede il loro trademark sia ben presente, non è questo il caso in cui si possa affermare che questo lavoro non sia, ancora una volta, originale.
Uno dei punti di forza dell’album è la varietà tra brani di sapore rock ed elettronico, sapientemente alternati e ricchi di espedienti inaspettati, aventi il compito di rendere il tutto estremamente groovy e godibile. Data la ormai trentennale esperienza del combo, si può tranquillamente dire che nulla venga lasciato al caso e che ciascun episodio sia costruito su più livelli. Prendiamo ad esempio il primo brano estratto dal lotto, Salvation, un mix tra atmosfere rock ed electro, impreziosito da una citazione lirica di Naïve e musicalmente vicino al suono di un album come Angst, in particolare ad un brano come Glory, di cui condivide parzialmente la ritmica. Le autocitazioni proseguono nel titolo del brano successivo, Blood vs Money, altri due loro celebri brani. D’altronde i KMFDM sono abituati, all’interno delle loro canzoni, a parlare di loro come gruppo e della loro musica, ma non solo. In un brano come Shake the cage (un esempio tra tanti), il sampling affronta temi politici e legati al problema dell’informazione. La politica è stata sempre una tematica cara ai nostri.
In questa release viene inoltre dato importante spazio alla voce di Lucia Cifarelli, che canta i brani più sperimentali e fuori dagli schemi, lasciando la potente voce di Konietzko al servizio di quelli più granitici e monolitici. Un esempio del secondo tipo è la lenta e pesante Brainwashed, mentre uno del primo è la titletrack, caratterizzata da un ben costruito incedere posato ed elettronico, ennesima dimostrazione della capacità dei nostri di reinventare il loro songwriting senza perdere per strada le proprie peculiarità sonore. Get the tongue wet e Playing god confermano ulteriormente quanto detto poco fa riguardo l’importanza delle female vocals legate alla sperimentazione in brani apparentemente semplici ma particolarmente ricchi di sfumature di vario genere.
Completa il quadro la sottintesa ironia del combo che traspare un po’ ovunque a smorzare i toni generali di un album che vuole dimostrare, portando sempre e comunque a far riflettere l’ascoltatore, che i KMFDM sono ancora vivi e vegeti e, soprattutto, che sono ben lontani dall’aver finito le frecce nel loro arco. Si parla già di un lavoro sperimentale che, presumibilmente, vedrà la luce in tempi brevissimi. La volontà di spingersi sempre oltre, di non fermarsi mai e di non copiarsi mai del tutto sono le armi vincenti del combo che, la speranza è questa, continuerà a realizzare dischi per tanti anni. Noi glielo auguriamo, e gli auguriamo molto più successo e hype di quello che già hanno – soprattutto nel nostro paese – perchè se lo meritano.
KMFDM SUCKS!
Voto: 9
Label: Metropolis records