Pubblicato da Roar il gennaio 8, 2016
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Il 19 settembre l’etichetta Spècula ha pubblicato il disco di Teho Teardo, pseudonimo di Mauro Teardo (Pordenone, 1966), Le retour à la raison. Musique pour trois film de Man Ray. Il progetto era già stato eseguito dal vivo il 6 e il 7 dicembre 2014 a Villa Manin (UD) in occasione di una mostra dedicata a Man Ray, e poi presentato il 6 febbraio al Museo Nazionale del Cinema di Torino e il 7 a febbraio al MAXXI di Roma.
Ripensare l’opera di Man Ray (Philadelphia, 1890 – Parigi, 1976) significa innanzitutto immedesimarsi in uno straniero che, con grande lucidità e libertà, racconta la Parigi degli anni ’20 e ’30 – e quindi l’Europa –, prima del grande vuoto causato dalle dittature e dalla Seconda Guerra Mondiale. Man Ray nel 1926 scrive: “Ho tentato di cogliere visioni che il crepuscolo o la luce troppo viva, o la loro fugacità, o la lentezza del nostro apparato oculare, sottraggono ai nostri sensi. Sono rimasto sempre stupito, spesso incantato, talvolta letteralmente <<rapito>>”.
1) Nei suoi tre film Man Ray si pone contro le logiche narrative e le varie specificità mediali del film, rispondendo così ad un giornalista che si interrogava sulle sorti del cinema surrealista: “Non c’è futuro per il film astratto. Il surrealismo influenzerà inevitabilmente il cinema, e forse lo salverà dalla nullità dell’astrazione e dalla banalità del tecnicismo”. Ha avuto ragione?
Non sono così sicuro se il punto sia aver ragione o meno, credo sia molto più significativo il tipo di cambiamento che Man Ray ha imposto all’arte e al cinema.
Lavorando alle musiche per quei tre film mi sono reso conto di quante volte alcune delle immagini che vedevo avevano influenzato molti film successivi. Ero in presenza di un agente contaminante, infettivo. Un virus che provoca malattie e per le quali è necessario trovare una cura. Un modo originale per porre dei problemi, a se stessi e agli altri.
2) Le Retour à la raison (1923), presentato per la prima volta durante la serata dadaista Coeur à barbe, è un collage filmico costruito al di fuori di ogni struttura formale e contenutistica. In tre minuti si alternano rayogrammi in movimento, in cui cioè la pellicola viene impressionata a contatto, a fulmini nel cielo notturno e immagini allucinatorie del torso di Kiki di Montparnasse.
Il titolo Emak Bakia (1926) fa riferimento ad un’espressione basca che significa “non seccarmi”. Anche questo film, proiettato nell’autunno del 1927 a Parigi presso lo Studio des Ursulines, ha un andamento illogico e una struttura anomala, dove, con una serie di trucchi fotografici, si suggerisce lo stato mentale di una donna. Viene così definito dallo stesso Man Ray: “una serie di frammenti, un cinepoema con una certa sequenza ottica da cui nasce un insieme che tuttavia resta frammentario. […] Non è un film astratto o narrativo; la sua ragion d’essere risiede nelle sue invenzioni di forme e di movimenti di luce, mentre le parti più oggettive interrompono la monotonia delle invenzioni astratte oppure servono da interpunzione.”
L’étoile de mer (1927) è un film surrealista basato su un testo del poeta Robert Desnos in cui una donna abbandona il suo amante per un altro uomo, che si consola con una stella marina.
Nel celebre ritratto eseguito da Man Ray, Marcel Duchamp è la donna Rrose Sélavy, ovvero “Eros è la vita”, nonché pseudonimo con cui firma il film dada del 1926 Anemic Cinema (Anemic è anagramma di cinema).
Quanto la visione di questi film ha influenzato la realizzazione di questo album?
Eh, questa è la domanda più lunga degli ultimi tre anni, ma mi permette di rimettere in circolo un aspetto fondamentale che caratterizza il mio rapporto con quei tre film in termini musicali: puoi fare quello che ti pare, ma sappi che da un momento all’altro Man Ray si può presentare alla tua porta ed incendiarti la casa. Oppure possiamo anche dire che il senso sconfinato di libertà in cui tutto è apparentemente possibile è un invito alla vita, con le sue regole ed i suoi limiti che ognuno è tenuto a definire per inquadrare il proprio mondo.
La vastità dell’orizzonte va necessariamente rivista dentro lo spazio di un obiettivo della cinepresa, quindi suggerisce uno sguardo personale ed un proprio percorso.
3) Come nasce questo “sodalizio artistico” con Man Ray?
Nel modo più semplice: una commissione da parte del Sovrintendente di Villa Manin, Piero Colussi, il quale ha pensato che la mia musica sarebbe potuta essere una possibilità nel riproporre questi film di Man Ray durante la grande retrospettiva che l’anno scorso si è tenuta presso la villa.
Mi hanno dato carta bianca ed ho passato un paio di mesi completamente immerso in questi tre film. Quando ho finito ero dispiaciuto, avrei voluto ricominciare da capo, forse per non uscire più di lì.
Nello stesso periodo un amico mi ha inviato una cassetta con l’unica registrazione di una band che avevo quando ho iniziato a suonare, ci chiamavamo Rayogramma perché eravamo ispirati dal lavoro di Man Ray.
4) Un altro grande protagonista dell’opera di Man Ray è il metronomo, che definisce un oggetto da distruggere. Distruggere il metronomo significa distruggere il metro, e quindi il ritmo. Può esserci questa idea alla base delle colonne sonore di ispirazione Dada?
Il ritmo scandisce il tempo, quindi l’analogia metronomo-tempo è immediata. Forse un po’ abusata, prevedibile oggi, ma sicuramente molto originale un secolo fa quando fu realizzata.
Non sono colonne sonore di ispirazione Dada, mi son ben guardato dal citare quel mondo.
Le posso dire che ho visto persone commosse tra il pubblico, quando succede significa che si sta costruendo qualcosa, l’esatto contrario del distruggere.
5) In che modo questi collage visivi, volutamente illogici, da immagini diventano musica?
Ho sempre delle notevoli perplessità quando si definiscono illogiche le associazioni che erano frequenti nel dadaismo e Surrealismo. A volte associare due elementi distanti tra loro finisce per dar luce a connessioni che non avremmo mai immaginato, perché privarsene al riparo di giudizi come “illogiche”?
L’esplorazione dell’Io trova nel Surrealismo una dimensione inedita che fornisce nuovi temi all’arte.
6) Alcune tracce fanno esplicitamente riferimento ai titoli dei tre film, altre risultano più oscure. A che cosa si riferiscono titoli come Hotel Istria, Danger danger danger, Underwater constellations, Synonyme de noie?
Svelare il significato dei titoli equivale in un disco strumentale a cercare di spiegare il significato dei testi in un album di canzoni, facendo svanire la magia.
7) Il disco vanta diverse collaborazioni, come quella con Joachim Arbeit (Einsturzende Neubauten). Come sono nate e che forma hanno preso?
Stimo molto il talento di Joachim e anche di Joe Lally (Fugazi) che hanno suonato in questo album, sono persone che frequento e quindi è naturale ritrovarsi a suonare assieme, condividere progetti.