Intervista a Eleonora Roaro

Pubblicato da Alessandro Violante il gennaio 15, 2015

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Oggi parliamo con Eleonora Roaro, classe 1989, una giovane promettente artista di Varese ma attiva tra Milano e Angera (cittadina sul Lago Maggiore in provincia di Varese) che fa del recupero e dell’utilizzo di media e dispositivi fondamentali per l’evoluzione del cinema (e non solo) la sua poetica, un’artista che torna, con un approccio quantomeno interessante, a focalizzare l’attenzione sulle loro potenzialità.

1) Il concetto e l’utilizzo del loop è al centro della tua poetica. Di che significato viene caricato e come lo utilizzi nel tuo lavoro?

Il loop non è un limite tecnico ma una potenzialità narrativa e creativa. Questa citazione di Lev Manovic presente nel libro “Il linguaggio dei media” del 2001 riassume bene il concetto secondo il quale gli antichi dispositivi dell’era pre-cinematografica non avessero esaurito i loro possibili utilizzi e, soprattutto, non fossero “stati superati” in quanto considerati limitati. Sebbene quindi un dispositivo come lo Zootropio consentisse di mettere in movimento una serie molto limitata di immagini, questo loop si apre alla produzione del testo virtuale ed ha una carica “potenziale” molto forte.

Parlavo di Zootropio perchè è stato questo particolare dispositivo pre-cinematografico a farmi riflettere sul concetto di loop che volevo esprimere ed è stato il “medium” da me utilizzato all’interno del mio primo lavoro, Tuttoqui. Scelsi di utilizzare questo dispositivo anche perchè riflettei sul significato greco della parola Zootropio, ovvero “Ruota della vita”. In quel caso, la mia idea fu di elaborare una narrazione minimale che parlasse dell’esistenza nel modo più generico possibile. Il loop è quindi legato alla tecnologia ma anche alla biologia e al ciclo della natura. Il loop regola tutto: la vita delle persone e il loro quotidiano (che si ripete sempre), il ritmo biologico e, di conseguenza, le azioni rappresentabili e rappresentate. La sua limitazione è la sua potenzialità. Inoltre, nel mio lavoro, l’utilizzo di certi dispositivi e, quindi, il ricorso al loop, nasce in opposizione nei confronti dell’enorme quantità di effetti speciali generata dalla continua crescita delle disponibilità in materia hi tech. Ma questi effetti sono spesso privi di contenuto e, proprio per questo, destinati a invecchiare in breve tempo. Non a caso un film come 2001 Odissea nello Spazio è e resterà immortale, perché parla per metafore e non punta a stupire e basta.

eleonora-roaro-tuttoqui2) Parliamo ora del ruolo occupato dallo spazio nella tua arte e di come concepisci la dimensione spaziale nel tuo lavoro.

Nel mio lavoro lo spazio è da intendersi, prima di tutto, in maniera simile a quello cinematografico e a tutto quello che concerne la dimensione e il rito della visione: lo schermo bianco (in cui tutto può accadere), il buio in sala e, ovviamente, la proiezione. Questo insieme di elementi, che definisce la dimensione visiva, grazie al buio introduce lo spettatore in un non luogo, uno spazio mentale, il che lascia ampiamente fluire la sua immaginazione. In una maniera simile allo spettacolo cinematografico, io richiedo a chi guarda le mie opere di partecipare al rito dell’essere lì e in quel momento in quello spazio virtuale che si viene a creare. Al pari del cinema, l’esperienza è quello che cerco di costruire e che chiedo allo spettatore, servendomi dei dispositivi e dei meccanismi di fruizione che questi richiedono. Per citare Samuel Taylor Coleridge riguardo al concetto di “Sospensione dell’incredulità” e, in maniera inconscia, anche il Metz di “Cinema e psicanalisi”, durante l’esperienza multisensoriale, lo spettatore sospende le proprie facoltà mentali per godere di un’opera di fantasia focalizzandosi unicamente sull’azione e, in un certo senso, “entrando al suo interno”. Qui poi entrano in gioco anche tutte le teorie legate alla dimensione partecipativa come mezzo per svuotarsi delle pulsioni interne, oltre alla già detta sospensione, e questo dipende dal grado di sospensione e di immedesimazione.

eleonora-roaro-e-non-ti-raggiungevo-mai-screen3) Quale ruolo ha il sonoro nella tua arte? Quale significato e quale posto gli dai, come lo utilizzi?

Esploro il suono nella sua totalità, è un elemento fondamentale del mio lavoro nonchè particolarmente duttile e aperto a molteplici forme di utilizzo. Da un lato c’è il ritmo interno al concetto stesso di loop che è il suo ritmo interiore, muto ma chiaramente percepibile: ogni opera infatti possiede un ritmo interno, se ci si pensa, e il loop è un chiaro esempio di come la successione delle immagini in movimento possieda un ritmo ben preciso allo stesso modo di quello posseduto dalla successione della scansione dei dati di un array in un ciclo in informatica. Poi c’è il recupero di un dispositivo di riproduzione musicale come il giradischi e l’utilizzo di un supporto “antico” ma ora riscoperto come il vinile. E quindi il suono, e quindi la musica, viene considerata anche nella sua matrice pop.

Risalendo la montagna verso gli strati più superficiali e facilmente riconoscibili, il ritmo si manifesta come suono / successione di suoni. In E non ti raggiungevo mai, ad esempio, ogni gradino corrisponde ad un suono e, nella circolarità del lavoro, la loro successione è destinata a ripetersi sempre. La costante ripetizione di questi suoni è, in un certo senso, meditativa e immerge lo spettatore (oltre all’opera stessa) in una atmosfera zen, in un certo senso ipnotica, che produce uno svuotamento interiore. Il movimento della salita / discesa delle scale, unitamente alla successione sonora, è anche interpretabile come una sorta di danza rituale, per ricollegarsi a quanto detto sopra a proposito del richiamo zen. In questo lavoro faccio un chiaro riferimento all’opera di Edward Muybridge (e quindi alla cronofotografia, elemento che fa molto spesso parte delle mie bozze e che, nel mio lavoro, è un riferimento obbligato) e al “Nudo che scende le scale n.2” di Marcel Duchamp, due artisti che, in maniera diversa e per certi versi complementare, hanno lavorato moltissimo sull’immagine.

4) Facendo leva anche su quanto ci hai spiegato, parliamo della tua “visione” di artista nei confronti dei media / dispositivi che utilizzi nella tua arte e nei confronti dei meccanismi di fruizione artistico/sociale dello spettatore post-moderno. Che ruolo svolgono i media oggi e come le persone vi si approcciano?

La dimensione virtuale / esperienziale è un’arma a doppio taglio perchè, se da un lato la virtualità proposta e promossa dai nuovi media e dai dispositivi più recenti dà luogo ad indubbie possibilità prima impensabili, la spettacolarizzazione della vita e il modo in cui si vivono e ci si approccia ai nuovi media ha comportato una sorta di rincoglionimento sociale in cui discernere la dimensione attuale da quella virtuale è sempre più difficile e questo è destabilizzante. Inoltre, come conseguenza dei nostri tempi, lo spettatore è mediamente più pigro e non dedica più il tempo necessario per la fruizione corretta di un’opera d’arte. Tra l’altro è così non solo per l’arte ma per tutto. E’ una diretta conseguenza del peso sempre maggiore avuto dall’informatica e dall’evoluzione sempre più repentina delle tecnologie nelle nostre vite. Non si intende tanto demonizzare le nuove tecnologie ma è senz’altro opportuno favorire una spinta verso una nuova educazione ai media che possa generare una maggiore comprensione delle tecnologie delle quali ci serviamo e con le quali conviviamo quotidianamente.

La mia arte utilizza il recupero di dispositivi antichi anche per questo motivo, perchè medium come lo Zootropio ti spingono, in un certo senso, a prenderti il tuo tempo per riflettere sull’opera che stai vivendo e per favorire la costruzione di un’esperienza che, nonostante il loop infinito delle immagini, goda di un senso proprio e ti richieda una certa attenzione. Inoltre, una caratteristica fondamentale dei miei lavori è che questi tipi di dispositivi costringono lo spettatore a vivere una esperienza reale, a creare quella dimensione auratica dell’ hic et nunc, in quanto, altrimenti, la riproduzione dei miei lavori perde visibilmente sul piano del significato e su quello esperienziale, quindi non riesce a comunicare ciò per cui è stata pensata e creata, e quindi non ha un senso.  

eleonora-roaro-dove-lei-non-e5) Come nasce una tua opera? Segui un iter prestabilito?

Spesso le mie opere nascono da una immagine che mi viene in mente o che osservo. Me la appunto sul quaderno e poi ci torno su successivamente. Altre volte, invece, il punto di partenza è un titolo, una storia o un’idea. I miei lavori sono caratterizzati da una gestazione molto lunga e spesso l’idea prende forma in corso di realizzazione. Il titolo viene fuori o inizialmente o al termine, nel momento in cui l’idea ha raggiunto la sua forma definitiva. Oltre allo sviluppo dell’idea e alla scelta del titolo, è molto importante anche la ricerca iconografica e, ovviamente, la scelta del dispositivo che utilizzerò.

Nel mio lavoro più recente, Dove lei non è, mi sono focalizzata sulla stereoscopia e, quindi, sulla tematica della tridimensionalità e sulla realizzazione di un video 3D inserito all’interno di una installazione costituita da una scatola in pvc e da un piedistallo, scatola da cui, attraverso due fori, si osserva il video che mostra una rosa che, nell’attesa, si ammala e muore. Qui, l’ambiguità tra lutto per amore e lutto per morte evoca un’assenza. Il lavoro vuole raccontare allo spettatore un’assenza attraverso simboli ed oggetti che evocano una presenza attraverso la narrazione. L’elemento narrativo è l’unico in grado di evocare la presenza dell’altro e di evitarne la sparizione e di allontanarne la morte, reale o immaginaria che sia. Stavolta mi sono servita degli scritti di uno dei più importanti semiologi della storia, nonchè un grande studioso della fotografia, il francese Roland Barthes che scrive, in seguito alla morte della madre, un diario che nell’edizione italiana si chiama appunto “Dove lei non è”.

Poco prima di morire scrive anche il celebre saggio “La camera chiara. Note sulla fotografia”. Partendo da questo testo, si può capire come la fotografia rappresenti “ciò che è stato” e che può però essere evocato solo per frammenti, non nella sua totalità. Questa natura ingannevole è la medesima condivisa anche dalla stereoscopia, la quale inizialmente veniva utilizzata nelle immagini pornografiche, poichè riuscivano ad offrire una illusoria visione tridimensionale dell’immagine. Con le applicazioni pratiche di questi studi, è lo spettatore a creare, attraverso i principi della visione, una immagine totalizzante a partire da quel particolare artificio. Questa è anche la base su cui poi si svilupperanno le applicazioni odierne della realtà virtuale, nient’altro che l’incontro tra gli studi della stereoscopia e le più moderne tecnologie digitali e ingegneristiche.

6) Scegli un artista, un film, un libro e un album che ti hanno influenzato in qualche maniera e/o che influenzano il tuo lavoro in questo momento.

Yves Klein, a cui tra l’altro ho dedicato il lavoro “Ogni cielo è una trappola blu”, per l’arte immateriale, per l’idea di vuoto, infinito.

Leos Carax per la sua opera omnia sul mondo del cinema, Holy motors (2012) e le sue storie d’amore conflittuali come i bellissimi Boy meets girls, Rosso sangue e Gli amanti del Pont-Neuf.

La letteratura è molto presente nel mio lavoro, partendo spesso dalle parole o da metafore. Direi Borges per i labirinti narrativi e le strutture che tornano su loro stesse. T.S. Eliot per una comune visione delle cose.

Songs of Leonard Cohen del 1967 perchè in quei testi c’è tutto (ed è il vinile che uso in Gli addii non sono mai addii).

7) Ti ringraziamo per il tempo dedicato per questa intervista. Saluta i lettori!

Beh… se siete arrivati fino in fondo grazie per la pazienza infinita :) ciao!

Sito web dell’artista

Immagini:

1. Tuttoqui  (oggetto minimo per osservare immagini in movimento) Zootropio / Installazione (giradischi, vinile, plexiglass, stampa fotografica, lampada) / Dimensioni variabili, 2011 / Edizione: 1/3 + prova d’artista / LP: Fetus – Franco Battiato (1972)

2. E non ti raggiungevo mai / Video / Durata: loop / Sonorizzazione: Kali / 2012 / Frame da “E non ti raggiungevo mai”

3. Dove lei non è #1 / Installazione (scatola in pvc + piedistallo, 22x25x16 cm + 120 cm) / Video 3D in stereoscopia, 15’’
2014 / Frame da “Dove lei non è”