Pubblicato da Alessandro Violante il giugno 4, 2015
Quella musica che ci ascolta, quell’immagine che ci guarda.
Ida Thunström
1,2,3 Materialize me
Studio Abate, Roma Via dei Sabelli 16
Dal martedì al venerdì dalle 16 alle 19 fino al 13 giugno
Poniamo che il suono sia la relazione che corre tra il pensiero e l’immagine (immaginazione), questa oltre ad essere un’energia latente e simultaneamente una forza efficace donerebbe all’idea artistica una forma ed un’espressione sonora. Essa si colloca sul confine tra la realtà trascendente e la figura sonora (i ritmi) del nostro mondo immaginativo. Essa costituisce il fondamento di quel sistema di immaginazioni che noi consideriamo mondo reale.
Visitando l’istallazione dell’artista svedese Ida Thunström nei vasti (ed umidi) locali dello Studio Abate nel cuore di San Lorenzo qui a Roma, ho la sensazione di trovarmi davanti a delle partiture, la sensazione che l’artista stia cercando di estrarre dalle pareti dei gridi, dei ritmi, forse dei canti. Me lo conferma anche il bel saggio di Thomas Millroth che, insieme ad altri saggi, compone il catalogo della mostra 1,2,3 Materialize me. “Queste forme pittografiche sono paragonabili a cluster acustici che strisciano, che si arrampicano sulle pareti per poi frantumarsi su di esse. Ma anche dissonanti noise dove il suono si frantuma in schegge acuminate”.
I segni ed i collage di Ida Thunström sono essenziali, scheletrici, mai si concedono a ciò che eccede e descrive (se non fosse per quelle piccole frasi in italiano che lei scrive a voler segnalare un ipotetico itinerario che poi è forse un labirinto). L’arte di Ida Thunström è a mio giudizio profondamente mistica, è un ascoltare con gli occhi. Questo perché il simbolo viene a costituirsi nel momento in cui la realtà che si vuole simboleggiare giunge a trasparire in un dato oggetto. Ed è proprio perché la realtà da comunicare appartiene all’indicibile, al trascendente che la cifra ed i segni pittorici si fanno necessariamente ritmo sonoro, perché il ritmo è sempre qualcosa di concreto, spoglio di ogni forma o immagine che potrebbe essere un ostacolo alla natura immateriale e dinamica di una simile materializzazione.
La “parola-immagine” di Ida Thunström si fa pittografia e si situa su un piano remoto dalle cose tangibili. Appartiene ad un linguaggio primordiale, imparentato più con la musica che non con il linguaggio nel senso comune del termine. In tal modo i segni tracciati sulle pareti dalla giovane artista svedese vengono percepiti come desideri, come ritmi viventi. Non credo sia solo la posizione “cavernosa” dei locali nei quali è situata la mostra, a darmi la sensazione di essere entrata in una cripta, in una catacomba dove i segni sui muri sono ritmi e messaggi criptati che contengono i nomos musicali di un inno sacro. Aver visitato l’installazione di Ida Thunström, artista sui generis nel senso più completo e genuino del termine, è un’esperienza che, lo credo e lo spero, mi porterò sempre dentro, dentro come quella musica che ci ascolta, come quell’immagine che ci guarda.
Sarebbe un peccato non approfittare di questa occasione unica e visitare 1,2,3 Materialize me nei locali del grande fotografo delle avanguardie Claudio Abate qui a Roma, a meno che non si voglia raggiungere Ida Thunström là dove il sole splende a mezzanotte (almeno in estate).