Pubblicato da Alessandro Violante il marzo 25, 2015
Oggi ci troviamo a parlare di un disco distante dai canoni di genere, decisamente in bilico tra diverse tendenze: l’elettronica soft e sognante, i riff influenzati dal prog, il rock, la musica ethereal. le atmosfere sognanti. Basta guardare la cover artwork del debut A long cold winter del progetto italo-danese Himmel per rendersi conto di come l’intento di Luca Bluefire, coadiuvato dai numerosi ospiti, sia quello di non rimanere ingabbiato in facili schemi musicali. Di fronte a noi c’è un bellissimo cielo oscurato da nuvole sparse, che ricorda non poche opere d’arte.
Possiamo respirare a pieni polmoni il paesaggio musicale che abbiamo di fronte senza rimanerne intrappolati, e questo è il mood generale del disco: questo è un disco che trasmette una positività di fondo in cui sono presenti passaggi mai troppo bui perchè le nuvole ad un certo punto svaniscono, non sono eterne.
Seppure le variazioni sul tema siano evidenti tra un brano e l’altro, è possibile riscontrare una comune attenzione per gli arrangiamenti melodici e una produzione senz’altro sopraffina, particolarmente adatta alla miscela proposta.
Tralasciando la cura per il songwriting del musicista, le collaborazioni possiedono un ruolo più che importante per la riuscita di un album che chiede a gran voce delle prove vocali adatte. A questo invito risponde per prima Aurora Sebastiani nell’opener Reverie, la carta di presentazione del progetto, in giro già da un po’. Qui, in una sorta di dream pop etereo, la prova vocale è vincente, così come lo è anche nella successiva Promises, in cui la voce di Mak Others si adatta perfettamente alla struttura più propriamente rock, di ottima fattura.
Sebbene alcuni episodi, seppur tecnicamente di ottimo livello, possano essere considerati dei riempitivi o, comunque, volutamente più commerciali come in The dark, le due strumentali Magneto e Snow glitters sono due episodi particolarmente buoni, aventi una personalità piuttosto spiccata. Il primo è il brano più accattivante del lotto, anche grazie agli inserti elettronici che gli conferiscono un maggiore dinamismo astratto, mentre il secondo è un breve episodio per sola tastiera, una degna conclusione che rompe con quanto proposto sino a quel momento.
Tra aloni davvero vicini al prog rock che fu, come in Blackest hearts in cui lo spoken word viene affidato a Jason Bradley e echi rock di varia natura, A long cold winter si conferma come prima prova eclettica di Luca Bluefire, un lavoro che gioca con varie influenze e che, di fondo, può essere considerato un episodio interessante all’interno della storia del rock in cui, tuttavia, c’è spazio anche per sognanti passaggi elettronici di sicuro effetto.
Label: Long gone days
Voto: 7