Pubblicato da Alessandro Violante il settembre 29, 2015
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Il tanto atteso ritorno dell’artista statunitense Heather Hansen Celeste, scoperta per caso dai talent scout della francese Anywave records (e, recentemente, dalla Lentonia Records) e da noi ampiamente seguita e intervistata (qui l’intervista) sin dai tempi del suo lunghissimo brano Austere, uscito per la netlabel gemella Evawyna, è, senza ombra di dubbio, un lavoro molto corposo, che richiede parecchi ascolti per essere perfettamente digerito, nonchè un nuovo punto di arrivo per la compositrice, che, rispetto ad Along the axis, nel frattempo si è innamorata della techno e della sua perfetta quadratura ballabile, lavorando poi successivamente sulla sua manipolazione.
Descrivere il doppio album Modern death, il massimo risultato ottenuto in termini di bontà e complessità compositiva dall’artista, non è affatto semplice, ma questo è senz’altro il risultato di un percorso fatto di continua sperimentazione, sia nell’ambito del video (in particolar modo, la videoarte degli anni ’60 e ’70) che della musica. In realtà, è bene dire che tra questa release e Austere tanto è stato rilasciato su vari canali musicali, tra i quali Mixcloud e, ovviamente, la sua pagina Bandcamp. Una musica in continua ridefinizione la sua, il cui unico limite è il fatto che Heather non se ne ponga.
Sebbene sommariamente, dal punto di vista strettamente musicale, si potrebbe definire Modern death come una successione di episodi più o meno lunghi (e c’è una ragione che va oltre il gusto di farlo) in cui viene cercato un modo per far stare bene insieme il battito sopraffino della detroit techno e la visionarietà della wave (nella sua accezione più generica possibile, il che si traduce nel ricorso a synth lisergici e all’impiego di una voce sussurrata – onirica) esso è, prima di tutto, un tentativo di riportare in musica il flusso artistico-musicale ongoing, riattivare il processo compositivo non inteso come la somma di parti ben definite ma come costante evoluzione, flusso dalle proprietà indefinibili, che si sviluppa e che muta continuamente a partire da una semplice idea di base, da un motivo.
Questa è una logica legata molto più agli happening del gruppo Fluxus e, in generale, ai compositori sperimentatori di quell’epoca, piuttosto che alla musica classicamente intesa anche nelle sue forme popolari, proprio perchè questo flusso tende a far perdere traccia del suo contenuto e a portare lontano l’ascoltatore su lidi onirici, a suscitare sensazioni sempre diverse. La perfezione formale non esiste forse perchè per Heather neppure la forma esiste, e l’unico legame fisico con la sua musica è il battito quadrato. E’ opportuno dire che questa sua sete di sperimentazione la rende un’artista piuttosto complessa ma, non per questo, meno interessante, anzi, si potrebbe affermare che ci si trovi davanti ad un lavoro rivoluzionario in ambito sbrigativamente identificato con la sigla minimal synth, e probabilmente è così.
Dal punto di vista lirico, i temi affrontati sono molti, e, come già accadeva nei suoi precedenti brani, Heather non cerca una relazione diretta tra il loro sviluppo e i testi da abbinare loro: le sue sono principalmente brevi o lunghe poesie, dissertazioni e storie. Modern death è un lavoro complesso perchè ricco di metafore e di visioni interiori di un mondo che è sempre meno moderno e sempre più postmoderno, laddove quest’ultimo viene simboleggiato dall’abbattimento di tutti gli orpelli del nostro mondo, dal tabula rasa di ciò che conosciamo, per creare un mondo mentale, Surrealista, in cui i lati vengono dissolti e le curvature sono cancellate […] per farci sentire distanti dalla natura. Il mondo di Heather è mentale, artificioso, costruito da un Architetto che ricorda molto da vicino l’universo di Matrix, il cui Architetto ha creato il sistema fittizio che viene percepito come reale: Heather deve avere particolarmente apprezzato la sua trilogia, se in Prototypes ne ricalca tutti i dettagli: siamo prototipi di un Architetto senziente che creò spazi a tre dimensioni esternalizzati cosicchè noi potessimo essere internalizzati, e ancora: oggetti omogenei incorporati in stati solidi, Matrice che è esterna cosicchè possiamo vagare attraverso Realtà Alternative. Qui si fa un chiaro riferimento a Neo, il prototipo della saga. Anche in Psychosynth l’Architetto come figura quasi divina viene richiamata, e Heather si chiede quanto l’essere umano abbia di divino e se ci sia qualcosa di più grande, un disegno già scritto (dall’Architetto, appunto).
La title track è, invece, una riflessione sui rapporti umani e la deumanizzazione, coadiuvata dalla rivoluzione digitale (virtuale e non), una analisi sui suoi pro e sui suoi contro: ci si chiede nuovamente l’annosa questione, se sia meglio essere capaci di provare emozioni ma avere in cambio potenziale dolore, o essere freddi ed evitare però, allo stesso tempo, il piacere di condividere felicità ed emozioni. Il mondo moderno è, per così dire, una manifestazione di morte moderna in cui l’individuo Io-digitale è sempre più vicino alla morte come uomo e alla rinascita come cyborg o entità digitalizzata, nickname e avatar. Ci sono poi quei testi che recuperano il particolare interesse di Heather per l’universo scientifico, presente sia in Lasers, un brano che si pone a metà tra evoluzione tecnologica e cervello umano, che nella più specifica Polarize, che recupera l’interesse per la meccanica quantistica già presente in Along the axis.
Altre tematiche esplorate sono, da un lato, le realtà altre e tutto quello che è sconosciuto all’uomo abitante del pianeta Terra: esempi concreti sono Palisades, che si focalizza sulla nostra origine di terrestri, la chiara e concisa Hide and seek e Echo, e dall’altro storie immaginarie e molto interessanti come Dream figures e Debt, ricche di metafore e legate al genere giallo, testi che, come al solito, si aprono a varie interpretazioni. Se la opener Zero population è un brano incentrato sugli studi sulle problematiche relative alla sovrappopolazione mondiale, secondo la quale sarebbe necessario controllare le nascite, in Technicolour c’è la già citata osservazione sul mondo oltre il moderno, nel postmoderno: tutto dovrebbe essere percepito in bianco e nero, perchè è semplice […] tutto potrebbe essere percepito meglio in Technicolour.
E la musica? Premesso che è difficile parlare dettagliatamente di ben ventuno composizioni ognuna delle quali rappresenta una esperienza a sé, esplorando col lanternino i meandri della sua musica, sembra opportuno cominciare dal principio: la opener del primo album, Zero population, è un lento minimal synth caratterizzato dalla voce sussurrata di Heather e da una ritmica sbilenca, il tutto arricchito da panorami sonori lisergici retrò, che gli conferiscono un alone mistico. Le linee di tastiera, minimaliste, contribuiscono a donare al brano un carattere sinistro, ma è la successiva You are here che fotografa al meglio quello che Heather presenta su questo album: una lunga composizione quadrata in cui riecheggia la techno statunitense più influenzata dal funk, che pian piano cresce verso il climax espressivo. Il ritmo iniziale si sviluppa pian piano, modificandosi costantemente fino ad essere quasi irriconoscibile, mentre la voce di Heather accompagna il processo ongoing, come in un flusso senza fine. Qui, in questa atmosfera onirico-Surreale, la composizione mostra sempre più il suo suono funk, che viene fuori sempre più e con estrema naturalezza. Vertical che si sviluppa lentamente, in cui la ridondanza e il testo sussurrato sono gli elementi principali di una esperienza di trance. Traces è un altro brano dal mood oscuro e sinistro che si sviluppa pian piano fino al climax mutando i suoi motivi principali, e lo stesso vale per Technicolour, un brano che recupera un gusto tutto particolare per i suoni retrò, rievocando i Kraftwerk di Computer world.
Psychosynth è invece un brano in cui la ritmica si fa meno onirica, più fisica, più claustrofobica e techno-oriented, contrapposta a Prototypes, un altro brano dal sapore onirico e vagamente goticheggiante, sul quale si erge il testo sussurrato di Heather, mentre con Polarize, la musicista crea ritmi quadrati più febbrili e debitori dell’operato degli artisti elettronici degli anni ’90, soprattutto Aphex Twin, ma tutto il breakbeat. Opaque è uno dei brani più immediati e ballabili, in cui il ritmo serrato fa la parte del leone, il tutto impreziosito da un giro di synth sempre mutevole, sempre tra tensione e distensione. I controtempi di Modern death, anche qui trattasi di un’altra esperienza fortemente Surreale, sono l’ennesima prova della grande capacità di Heather di reggere composizioni molto lunghe senza mai annoiare l’ascoltatore.
Il secondo disco si apre con l’old school di Modern age, e si evolve lasciando uscire fuori ritmiche mid tempo in costante evoluzione. Lasers è lisergica nel suo incedere e anch’essa recupera pesanti influssi retrò, mentre la veloce e quadrata Cups of wine e la più industrialoide Hide & seek completano il quadro dei brani più fortemente influenzati dalla techno più viscerale. Gli altri brani del secondo album rielaborano, in maniera sempre diversa e fresca, la sua metodologia compositiva, riuscendo sempre a stupire e a rapire l’ascoltatore verso universi lisergici, onirici e Surreali.
Con Modern death, Heather Hansen Celeste si è imbarcata nel suo lavoro più importante e complesso, certamente di non facile assimilazione, proponendo una formula completamente nuova e una freschezza rara nel panorama elettronico, riuscendo a creare degli stati mentali che l’ascoltatore potrà esplorare al meglio utilizzando delle buone cuffie. Lavoro difficilmente catalogabile, l’artista, in una operazione duchampiana, fa suoi elementi della musica degli anni ’80 e ’90 e li rielabora nella sua personale, complessa e stratificata maniera di vedere la musica, mai disgiunta dalla poesia, dallo sci-fi, dalla scienza, dalle arti performative e dal video. Questa sua unicità è anche il suo limite, perchè l’universo musicale ha bisogno, oggi più che mai, di incasellare qualsiasi tipo di artista in uno scompartimento. Questo non è il caso di Heather, che ha dimostrato qui di avere realizzato la sua prova migliore, un autentico gioiello in cui la ricorsione, la variazione, la quadratura e il minimalismo sono gli elementi principali della sua formula. Non ci resta altro che iniziare il viaggio, cercando di non perderci.
Voto: 10
Label: Anywave records / Lentonia records