Il futuro della museificazione: l’arte oltre il Postmoderno

Pubblicato da Alessandro Violante il ottobre 18, 2014

ars-electronica-sound-artSempre più spesso di parla di Arte Contemporanea. Quello che un tempo era considerato un concetto per iniziati è diventato sempre più un argomento comune a molte persone. Di solito, al riguardo, si dice che questa sia incomprensibile rispetto all’arte per così dire classica, precedente, indicativamente, al 1930 o giù di lì

Di fronte all’incomprensione dei significati che le molteplici forme di Arte Contemporanea veicolano, presumibilmente il problema principale risiede nelle tecniche e negli approcci alla museificazione delle opere e, in conseguenza di questo, al modo in cui le persone vengano, per così dire, pilotate e indottrinate cercando di insegnare e di perpetrare un modello standard fruitivo dell’opera d’arte.

Il fruitore, nelle arti digitali, viene chiamato ad abbandonare la sua figura passiva e a divenire utente attivo, ma il retroterra culturale spesso è duro a morire: facciamo alcuni esempi: il divieto di scattare fotografie, di girare video e di toccare le opere, anche se di natura digitale, risente fortemente delle idee espresse da Walter Benjamin, personaggio imprescindibile per la storia dell’arte perchè ne descrisse le regole in una manciata di pagine. E’ quello che potrebbe capitarvi se visiterete la mostra monografica di Joan Jonas all’Hangar Bicocca, per fare un esempio attuale. Sentirsi costantemente osservati da mastini a guardia del Santo Graal costringe il fruitore a scalare un po’ più in basso la sua condizione, verso quella del visitatore. Cosciente di questa condizione e impossibilitato ad approcciarsi nella maniera corretta all’ambiente circostante, non porterà con lui nulla di quel momento se non una secca brochure e, probabilmente, pensando di essere entrato a contatto con un antico manufatto, non avrà i codici per capirlo e, successivamente, lo rigetterà. Al contrario, all’interno della Pinacoteca di Brera, si sentirà protetto perchè, di fronte all’opera, i propri codici di lettura e, soprattutto, di fruizione, gli consentiranno di comprendere tutto, il tutto supportato da guide impegnate nella spiegazione di un qualcosa che già si conosce, vuoi il significato di quel frutto, di quel pesce o di quello stemma.

Haskell scrisse (a proposito di chi scrisse ben prima di lui), che la mostra mette in mostra quel che è entrato nel novero delle opere d’Arte, ovvero i classici. Questo processo di museificazione fa sì che, anche quando non di fronte ad una mostra di Raffaello o di Michelangelo, le coordinate fondanti dell’esperienza museale derivino direttamente da questo processo di museificazione. L’opera come feticcio, in breve. Benjamin, quando parlava di sacralità, parlava soprattutto dell’esperienza, e quindi dell’hic et nunc (qui e ora).

shaw-legible-cityParlando di Arte Contemporanea, sebbene il ruolo della Biennale di Venezia sia innegabile, è invece innegabile che l’approccio museale utilizzato nei confronti delle persone sia di tipo fruitivo, ovvero non si è mai utenti attivi. Al limite, si è spettatori. Ogni padiglione racchiude in sè il meglio che il proprio paese abbia avuto da offrire nei due anni precedenti, sempre secondo i metodi e le inclusioni/esclusioni dettate dal Sistema dell’Arte Contemporanea, impersonificata da coloro i quali decidono cosa sia e cosa non sia meritevole di essere esposto. Qui si apre un enorme dibattito su cosa sia e cosa non sia Arte, ma non è questo il succo del discorso, quindi non entreremo in merito alla questione.

Prendiamo invece, come punto di partenza, un articolo scritto da un eminente giornalista, personaggio di spicco, di cui però sfugge il nome (davvero). In parole povere, si diceva che il museo stesse perdendo la sua identità e si stesse trasformando in una sala giochi, in quanto, in alcuni (rari) esempi, l’elemento del gioco e, conseguentemente, dell’interazione, ha cominciato ad essere posto sempre più al centro dell’esperienza di colui che, da fruitore, è diventato utente. L’utente viene chiamato ad interagire con lo spazio e con le opere circostanti, opere che diventano neuroni di un apparato che ha sempre meno l’aspetto del museo classicamente inteso e che assomiglia sempre più al cyberspazio. Ovviamente l’articolo fu applaudito, non criticato in quanto anacronistico.

Portiamo due esempi pratici di questa inversione di tendenza: lo ZKM di Karlsruhe e, in particolare l’Ars Electronica Center di Linz. Il primo è distinto in due musei: il primo ospita mostre e collezioni di Arte Contemporanea mentre il secondo, forse molto più interessante (sebbene le mostre nel primo siano, da tutti i punti di vista, di altissimo livello) e chiamato Museo delle Nuove Arti e si occupa esclusivamente delle forme d’arte multimediali e digitali sviluppate a partire dal 1970 o giù di lì. Quel che è ben più importante delle collezioni e delle mostre ospitate, è il modo in cui il processo di museificazione influenzi le persone che vivono lo spazio museale. L’utente viene chiamato ad interagire direttamente con le opere e con gli altri suoi simili, partecipando a delle esperienze in cui, in alcuni casi, l’opera viene modificata dall’utente stesso o, in altri, viene vissuta in maniera immersiva.

 

E’ allora che la mostra diventa giozkmco, che si viene spinti ad utilizzare le opere in maniera attiva, a fotografare, a girare video e a sentirsi parte attiva dell’ambiente circostante. I numeri parlano chiaro: i visitatori sono tanti e vivono la loro esperienza. Gli utenti scoprono che l’Arte Contemporanea può essere letta in maniera estremamente facile dalle persone di tutte le età. Certo, si tratta di avere una grande elasticità mentale, perchè non è semplice rompere le barriere della fruizione, ciononostante è necessario per essere competitivi e per rilanciare l’Arte in un paese che identifica una mostra con un noioso evento storico da ricordare. Niente di tutto questo.

Spostiamoci ancora un po’ oltre per parlare di chi, ripensando il processo di museificazione, ne ha modificato completamente l’approccio, scegliendo di mettere in mostra unicamente ciò che è nuovo o che, nella nostra testa, ancora non esiste. Parliamo dell’Ars Electronica Center e, in maniera particolare, del Prix.

Ogni anno, a Linz, si svolge il Prix dell’Ars Electronica Center, in cui vengono assegnati i Golden Nica (così si chiamano i premi), per svariate categorie che vanno dalle arti multimediali alla sound art e via dicendo, unitamente a convegni con artisti e teorici, serate di ballo e divertimento e un grande concerto, una sorta di mega-Biennale del futuro, che però avviene ogni anno e che è estremamente più avanti coi tempi e molto più onnicomprensiva. Nel resto dell’anno, al di fuori di quella settimana, il Centro è sempre aperto e ospita molte mostre differenti. Come detto prima, la scelta del Centro è di mettere in mostra unicamente ciò che è nuovo e ciò che è solo prototipato e che deve ancora essere sviluppato. Ogni mostra è una esperienza vera e propria in cui, in molti casi, si viene chiamati ad interagire direttamente con le opere e, soprattutto, a testare esperimenti e situazioni. Una serie di assistenti sono a disposizione degli utenti per spiegare come condurre gli esperimenti o come vivere lo spazio circostante interagendo direttamente con le opere. L’arte diventa un gioco e un momento per crescere e imparare nuove cose, così come per giocare ad un videogame retro o per fare vari tipi di giochi.

sommerer-mignonneau-interactive-plant-growingAll’interno del SoundLab, le persone imparano i principi dell’acustica e suonano batterie così come nuovi strumenti musicali, nel BioLab imparano a conoscere i principi della biologia attraverso esperimenti (le opere d’arte) e così via nel BrainLab, nel FabLab e nel RoboLab si imparano nuove cose sulla robotica e sul funzionamento del cervello semplicemente sperimentandole sulla propria pelle. Queste opere d’arte rappresentano solo una piccolissima parte di quello che è Ars Electronica ma chiariscono a pieno cosa il Centro intenda con il concetto di museificazione. Le altre mostre sono impostate, perlopiù e nei limiti del possibile, alla stessa maniera. E’ inutile dire quanto grande sia l’afflusso di persone e quanto questo rappresenti un enorme ritorno per il Centro.

 

 

ars-electronica-soundlabQuesti musei-centri sono da prendere ad esempio per il ripensamento del processo di museificazione. Questo non vuol dire necessariamente seguire le orme delle mostre ospitate fuori dai nostri confini nazionali, anzi, vuol dire però favorire il processo di interazione tra le persone, ora utenti e le opere d’Arte, puntando su un approccio giocoso ed educativo. Ben venga la tecnologia applicata alle opere d’Arte della nostra antica storia, ben venga anche qualche cabinato con cui giocare tra una mostra e l’altra…l’interazione è un concetto molto ampio che trova la sua piena espressione nella convivialità, nella digitalizzazione dell’arte, nell’esperienza del videogioco e delle realtà immersive.

Perchè non studiare Piero Della Francesca guardandolo dall’interno tramite un Oculus Rift, perchè non analizzarlo tramite un computer, perchè non vedere un film animato in 3D sull’Ultima cena. C’è chi ci prova e chi ci ha provato, in Italia Studio Azzurro (molto in piccolo) e non solo…anche un regista come Peter Greenaway. Stiamo parlando di qualcosa che, però, in Italia non è stato ancora particolarmente colto e che deve esserlo, pena il fallimento dell’Arte e dei musei italiani. Prendiamo come modello chi sperimenta e va oltre, anche in virtù dei numeri ottenuti, piuttosto che continuare imperterriti in una corsa verso il declino.