Franz Rosati – Black body radiation

Pubblicato da Alessandro Violante il settembre 19, 2015

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Nonostante sia ormai passato quasi un secolo dall’uscita di un film emblematico, anche per la cultura industriale, come Berlino, Sinfonia di una grande città di Walter Ruttmann, nell’ampio e variegato universo della musica elettronica sperimentale (e non strettamente industriale) è sempre esistita una corrente sperimentale che ha cercato di rendere quella particolare urgenza, quel flusso (in maniera diretta) che, in musica, ha cercato di evocare la vita nelle metropoli industriali. Questa urgenza si manifesta attraverso lo slegamento da confini ritmici troppo marcati e attraverso il recupero di un minimalismo spinto all’estremo, in cui il concetto assume un peso maggiore rispetto alla sostanza, e la composizione diviene, piuttosto, una sorta di flusso.

Sebbene questa tipologia di sperimentazione abbia spesso trovato i suoi esempi principali nella musica industrial, si prenda ad esempio il lavoro pionieristico dei tedeschi Einstürzende Neubauten, per citare l’esempio più noto ai più, un musicista come Franz Rosati, in Black body radiation, attua la medesima operazione concettuale-musicale per la Manyfeetunderlabel italianissima che non ha assolutamente nulla da invidiare al panorama estero, e questo particolare quanto primordiale lavoro è l’esempio di come l’Italia sia in grado di offrire prodotti alternativi rispetto alle tendenze di mercato anche all’interno del suono di nicchia.

Sebbene di certo non sia l’unico esempio, il musicista si distingue per il modo in cui riesce ad evocare la vita alienante metropolitana, fatta di treni, rumori provenienti dalle fabbriche ed oggetti trapanati. Detta in questi termini, si potrebbe tranquillamente tracciare una linea di continuità tra il concetto del primo Bargeld e quello di Rosati, ma quel che è più importante in questa sede è evidenziare il guizzo creativo di un artista che compone con molto poco e che, oltre a rifarsi all’avanguardia industriale, trae ispirazione allo stesso modo dalla musica concettuale.

Black body radiation è infatti un lavoro primitivo, che trascende i generi, e che ci trasporta, piuttosto, in un particolare contesto culturale-geografico. In perenne equilibrio tra momenti di tensione e di distensione, tra suoni intelligenti, aperture noisy e rade ritmiche quadrate primordiali, Rosati rielabora l’operato di John Cage, uno dei più importanti esponenti della musica del XX° secolo, in Zero point energy, un brano in cui il silenzio non è casuale, così come l’artificiosità del rumore old fashioned, che non vuole esprimere avidamente tutto il suo potenziale, ma che alterna sapientemente atmosfere diverse, come in un collage per la generazione post-industriale. Qui si trova anche il recupero di suoni campionati dalla vita reale, ma questa è una caratteristica importante che accompagna quasi tutti i brani del lavoro. Il brano sale in un climax dal sapore atomico (che, seppure il genere sia radicalmente diverso, ricorda, nel background cacofonico, il principio e la conclusione di Bunkertor 7.

Anche la opener Strain tensor è costantemente in bilico tra tensione e distensione, con un battito metronomico in background che pian piano diventa il rumore dello scorrere di un treno su dei binari arrugginiti, riportandoci mentalmente ad Europa del danese Lars Von Trier, film particolarmente ansiogeno, distopico e concettuale, che ben si sposa con le emozioni provocate dal brano, che esibisce poi un gioco tra silenzio e rumore bianco forse ancora imperfetto ma concettualmente rilevante. Si tratta di un episodio che non cerca l’incontro tra i due universi sonori, ma piuttosto lo scontro, l’antitesi, perchè l’antitesi è rottura, e la rottura è il miglior mezzo attraverso il quale esprimere un messaggio dalla generazione febbrile.

Angular distorsion è un altro drone siderurgico che rimanda chiaramente alla dimensione del duro lavoro in fabbrica ma che allo stesso tempo sembra un divertissement, un flusso continuo a metà tra il noise e il power electronics, un brano concettuale piuttosto che fisico, meglio descrivibile relazionandolo ad uno studio sulla civiltà postmoderna / postindustriale. Più avanti non si ritroverà la medesima crudezza e la medesima urgenza, come nella successiva Transition metal (slow light), un brano di matrice maggiormente intelligente, diviso in due parti: nella prima fa capolino la scuola inglese, precisa, relativamente pulita e matematicamente ineccepibile (ma scarica nel messaggio), mentre nella seconda il ritmo si accelera nella corsa impazzita di un vecchio treno malandato. Il silenzio cageiano è l’ennesima dimostrazione dello statuto artistico del progetto.

Quintessence gioca invece su un ritmo primordiale che sfocia poi nell’ambient, mettendo in mostra le capacità assonanti/dissonanti del musicista, evidenziando i frenetici e minimalisti giri di pianoforte sul cui sfondo aleggia il sempre presente densissimo tappeto noise. Si tratta di un episodio sognante e lontano dal mood claustrofobico che contraddistingue, invece, i brani precedenti. Heat-death of the universe, apocalittica e fortemente concettuale, basata sul flusso rumoristico, inizia là dove finisce il brano precedente, ma inizia poi a costruire un climax cacofonico che sfocia nel rumore bianco, una rincorsa verso l’annullamento della percezione sonora e verso la dissoluzione delle trame musicali.

Quello di Rosati è un atto compositivo che mira a far immergere l’ascoltatore nell’alienazione delle metropoli postmoderne, un lavoro che prende in prestito le idee degli avanguardisti dei primi anni del XX° secolo e che ne crea un interessantissimo spin-off, un flusso artistico-musicale proveniente direttamente dagli albori della rivoluzione industriale e che, ancora oggi, ha qualcosa di rilevante da comunicarci.

Voto: 7, 5

Label: Manyfeetunder