Pubblicato da Alessandro Violante il agosto 8, 2014
Sembra che le preghiere che speravano in un ritorno su “larga scala” dell’electro siano state ascoltate. Sotto nuove vesti, ma il genere sta tornando a farsi sentire prepotentemente. Uno dei frutti più interessanti di questi ultimi anni è la creatura svedese Fatal Casualties (di cui vi parlammo già in passato qui) di Stefan Ljungdahl e Ivan Hirvonen che arriva qui al suo debutto sulla lunga distanza con Psalm, presto in uscita per la label olandese Seja records.
I lettori più attenti ricorderanno che, già tempo fa, parlammo di questo progetto che interessò anche Daniel Bressanutti degli storici pionieri dell’EBM Front 242. Le aspettative, dopo una serie di E.P., erano piuttosto elevate e non sono state disattese. Nove brani, tra loro molto diversi, esplorano l’universo musicale del duo lungo un percorso musicale che attraversa la definizione di electro industrial tra gli ’80 e i ’90. Suoni, songwriting, vocals, fanno eco ai lavori storici dei maestri canadesi e ricercano, più che il minimalismo e la monoliticità della forma, la costruzione di una musica caleidoscopica, dalle tante sfumature.
La voce assume il carattere di strumento straniante (e in questa pratica è lecito citare gli Skinny Puppy) e anche la molteplicità di approcci sembra guardare al di fuori di certa tradizione musicale electro belga, sempre e comunque mantenendo vivo un sound che lascia da parte una durezza quasi rock che, invece, non gli appartiene. Musica fluttuante in un panorama quasi ambient-esoterico o ancor meglio religioso, per rimanere in tema con titolo e copertina dell’album. Si tratta di un salmo complesso, complesso da leggere (in questo caso da ascoltare) e da comprendere, che lascia spazio a molte diverse interpretazioni.
Mani rivolte in una voluminosa e cangiante preghiera, che nell’opener inizia pulsante per poi sfociare nel sogno e in un tappeto quasi classico in cui l’elettronica dilata ritmi, tempi e atmosfere, passando per il ballabile di Dod man, dai suoni più dance, old school (come è, in generale, l’approccio dei musicisti) e per l’episodio quadrato ma non troppo, multisfaccettato, di Skrik tyst. Laica scende nella quasi-ballad struggente e sentita, incupisce le atmosfere e lascia da parte le intemperie generate dalle pulsazioni dei beat precedenti, e così anche Somewhere in the middle, sebbene veda il ritorno delle ritmiche, non dà mai loro eccessiva forza ma le utilizza per creare un rituale, quasi una preghiera, come già detto. Si torna poi su binari più ritmati e meno fortemente ambientali, si recupera una certa fisicità, sebbene questa non prenda mai realmente il sopravvento. A questo proposito un brano come New tira giù i muri con un più deciso minimalismo sonoro, fino alla conclusiva Slut che chiude con un episodio molto anni ’80, cupo e rilassato, caratterizzato da sonorità leggermente più rock, a la Click click del 2014, che chiude un lavoro che dice tante cose e che le dice bene.
L’ennesimo quadro ben pensato e realizzato che riassume lo stato dell’arte del genere all’alba di una nuova età dell’oro.
Label: Seja records
Voto: 9