Pubblicato da Alessandro Violante il marzo 9, 2016
Approcciarsi per la prima volta alla musica power electronics è come, per un profondo conoscitore dell’Arte cosiddetta “classica” (ma intendendo con ciò la Storia dell’Arte fino al termine del XIX secolo), visitare una mostra che racchiuda dei capolavori di Arte Contemporanea. Il fruitore / ascoltatore si sente spaesato e incapace di comprendere il significato più profondo di quel che ha davanti, tanto i codici comunicativi sono differenti rispetto a quanto si è abituati ad ascoltare.
Una sorta di non musica, hanno detto alcuni, ma è semplicemente una forma musicale molto particolare che esprime sensazioni ed emozioni fortissime in un modo, se vogliamo, ancor più diretto rispetto a certa musica tecnicamente molto elevata. Si tratta, come nel caso di Empty Chalice, di una manifestazione musicale di un flusso di coscienza finalmente libero dalle prigioni interiori, che si manifesta con una bestialità senza paragoni, come quando si immagazzina tensione e, al momento opportuno, la si butta fuori violentemente.
This way is called black, finalmente pubblicato il 30 gennaio 2016 per la CVLMINIS dopo lunghissime tribolazioni, è il primo e, allo stesso tempo (in termini di data di pubblicazione), l’ultimo lavoro di Antonio Airoldi (di cui ricordiamo il debut a firma Gopota, già recensito su queste pagine), un album che musicalmente può essere ascrivibile al filone power electronics italiano, seppur dotato di una propria personalità per quel che concerne alcune scelte “melodiche” e un utilizzo molto particolare del flusso rumoristico, mentre concettualmente rappresenta la diretta esternazione della propria condizione, ovvero una depressione che lo ha spinto verso la ricerca del “male”, espresso graficamente dalla front cover nera, ma che al suo interno ha anche del bianco. Questo perchè la sua musica non è affatto monotematica, ma sempre in bilico tra forze che si scontrano, un principio comune a molti act del genere. E’ tutto basato su un costante alternarsi di momenti di tensione ad altri di distensione e sembra che il rumore viva di vita propria, talvolta mantenendo il respiro fino a soffocare, talaltra lasciando che tutto venga fuori, nervosamente e ciclicamente. Il flusso non è altro che la rappresentazione di chi lo crea, e quindi il musicista talvolta trattiene il proprio malessere e talaltra se ne libera.
Tuttavia, This way is called black non è definibile in termini così semplicistici, in quanto le idee in esso contenute spesso (e fortunatamente) trascendono da quella che potremmo definire una “semplice equazione”. La titletrack, che apre il lavoro, comincia con un flusso rumoristico che non conosce freni, sul quale si inserisce un sampling indiavolato che altro non vuole esprimere se non un turbinio di sensazioni ed emozioni che affligge chi si trova ad affrontare una situazione complessa (così come è complessa la tempesta di samples), per poi lasciare spazio a quell’alternanza da noi prima descritta. You knock on the cross è un altro flusso rumoristico intransigente e violento che ha in sé lo spirito energico del punk che va a braccetto con l’intransigenza del flusso noise. Qui l’autore parla di volontà di distruzione degli opposti, risultato della totale mancanza di risposte e conforto che la croce (la religione?) gli ha offerto, ed è questa frustrazione che emerge qui chiaramente. Qui le lancinanti distorsioni sembrano paragonabili a violenti e diretti accordi di chitarra elettrica, fino ad un gioco rumoristico che sembra quasi evocare il suono della sirena di un’ambulanza (una sottesa richiesta di aiuto?).
Distant sun cambia invece le carte in tavola con un ritmo incalzante e costante sullo sfondo, su cui poi si inserisce una alienante costruzione sintetica, una sorta di triste e annichilente “melodia”, un episodio, questo, alquanto particolare. Anche per la successiva Nebel XI-II-MMXV si può parlare dell’alternanza a cui si è accennato inizialmente. Si tratta di un brano che descrive un momento importante nella vita del musicista, nel cui flusso si può ascoltare il turbinio di emozioni e sensazioni espresso dal flusso rumoristico in subbuglio, la ritmica galoppante che ricorda il veloce e concitato battere del cuore e le saltuarie esplosioni soniche che rappresentano il culmine di un’esperienza senza eguali, che il musicista porta ancora dentro di sé, ma i brani più caratteristici di questo lavoro sono certamente i successivi Blue instill e Ibex, tra loro strettamente legati, in quanto il secondo accentua la componente rumoristica del primo, quest’ultimo caratterizzato da un ritmo cinematografico lento, cadenzato, annichilente, vicino a certo dark ambient, dalle tinte particolarmente oscure. Al termine di questa sorta di viaggio si trova il brano conclusivo, Wievil bist du bereit zum sterben? (Quanto sei disposto a morire?), una conclusiva riflessione che musicalmente viene rappresentata da un insistente flusso cacofonico anch’esso “diretto” alla maniera del punk, nel quale, al di sotto della fitta coltre cacofonica, si può scorgere un barlume di “umanità”, e questa domanda si ricollega perfettamente con l’incipit dell’album, rendendo impossibile togliere il cd dallo stereo.
This way is called black è un ottimo biglietto da visita per un artista che riesce, in un genere come il power electronics, a trovare una propria visione musicale, sicuramente ancora da perfezionare ma ricca di profondo significato (e anche la musica contenuta nel disco di Gopota lo era). Empty Chalice è senz’altro un artista che può solo migliorare.
Label: CVLMINIS
Voto: 7, 5