Pubblicato da Alessandro Violante il ottobre 12, 2015
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Sebbene molti musicisti abbiano utilizzato, in passato così come oggi, la materia musicale come mezzo utile al fine di esternare il proprio malessere e per compiere una operazione di autoanalisi, non tutti sono riusciti a creare musica originale ed innovativa, ed è piuttosto interessante notare come musica prettamente strumentale come il cosiddetto industrial ritmico possa veicolare messaggi tanto profondi.
Abbiamo imparato a conoscere Ecstasphere, alias di Ophelia The Suffering, con il suo primo album – sempre per la Raumklang – Feed your head, con il successivo EP autoprodotto Klangporträts e tramite la sua collaborazione con i Phasenmensch, tutti lavori di cui già parlammo al momento della loro uscita.
Se avevamo già avuto modo di apprezzare il modo in cui Ophelia, nel suo primo lavoro, era riuscita ad operare una interessante summa del genere rhythmic e a spingere il confine un po’ più in là col successivo EP mettendo in mostra, senza paura di uscire dai canoni del genere, un possibile punto di incontro tra la musica classica e i meccanici ritmi distorti, senza tralasciare il fondamentale step evolutivo dell’artista pubblicato pochi giorni fa come Aphexia, ovvero l’interessantissimo Breathe (un vero e proprio respiro a pieni polmoni in una musica che ne aveva bisogno), Carnival of catharsis, questo il titolo del suo nuovo album, da un lato rappresenta una evoluzione di quanto già scritto dall’artista in brani del precedente album come A cure, Liebe freiheit alles e Dissociation reversed, e dall’altro segna un distacco dai lavori classici del genere per approdare a qualcosa di nuovo: un lavoro decisamente più compiuto del precedente, meno confusionario, più organico.
Per Ophelia, il ritmo è il mezzo attraverso il quale operare una catarsi interiore (e il ciclo di concerti Katharsis, all’interno del quale si sono susseguiti live importanti, ha sicuramente influenzato anche questo album), comprendere l’origine dei propri tormenti e affrontare le proprie paure, perchè quello che ci terrorizza è quello che non conosciamo, coscienti del fatto che non è possibile cancellare il male dalla nostra persona, in quanto il dualismo bene-male è implicito nell’essere umano. Quello che però l’artista può fare è scendere nei meandri della sua psiche per interrogare quell’Io spaventoso che non finiamo mai di conoscere veramente ma che può aiutarci a capire qualcosa in più di noi stessi. La metafora scelta per questo concept album è quella del Carnevale: esso è infatti quel momento in cui le identità si mescolano e tutto può accadere.
Carnival of catharsis può essere interpretato come il sequel del precedente album perchè, se in Feed your head la musicista ci mostrava se stessa e il suo dualismo interiore senza però spiegarsi/ci l’origine del suo dramma (un dramma interiore chiaramente percepibile in una musica particolarmente frenetica), qui decide di intraprendere il viaggio che la porterà a comprendere il ruolo dell’Io, al quale Ophelia dà una forma umana (chiamandolo “Signore”), quell’Io che tendiamo a far sprofondare nei remoti angoli della nostra mente proprio perchè non sempre riusciamo a controllare il suo istinto primordiale, istinto che ci spinge a fare anche quello che ci sembra di non voler fare (ma che in realtà vorremmo fare).
Non è tuttavia necessario essere degli esperti di Psicologia per comprendere la bellezza e la compiutezza di un lavoro che riesce a coniugare perfettamente le ritmiche distorte, la musica classica (in particolar modo quella del XVII secolo) ed un mood neanche troppo velatamente malinconico. Carnival of catharsis è stato fortemente influenzato dai brani scritti a nome Aphexia, e infatti l’utilizzo di giri melodici di tastiera, di pianoforte e di violino sono elementi già presenti in Breathe, anche se qui ancor più arricchiti ed approfonditi. The carnival awakes è una intro che spiazza l’ascoltatore e che lascia presagire quello che si ascolterà successivamente: è una sinistra melodia che ricorda una festa, sulla quale fa poi capolino la ritmica distorta. Passage dangereux è il primo passo verso la conoscenza di se stessi, e musicalmente è un brano dominato da una ritmica distorta groovy, pesante e tarantolata e da un oscuro giro melodico. Creeping creatures made of fear è uno degli episodi più interessanti dell’album, in cui è riscontrabile il recupero della musica classica così come la ritmica tarantolata, il tutto impreziosito dall’evocativo suono del violino. Qui sembra di assistere ad una versione più dura del lavoro recentemente svolto come Aphexia.
The noose fa ancora una volta uso del violino aumentando la potenza della ritmica ed introducendo l’elemento narrativo di Ophelia, che qui canta per la prima volta. La sensazione è quella di trovarsi trasportati in un luogo remoto, e il ritmo tarantolato si sposa particolarmente bene in questo contesto. Anche se Broken toy (On her knees) passa via un po’ velocemente senza lasciare particolare traccia di sé, Demedicate the puppeteer (Their dawn of bitterending’s near) è uno degli episodi più particolari, che gioca su un ritmo in mid tempo, giri melodici di ispirazione classica e, in generale, un approccio elettronico intelligente. Il meglio arriva con la veloce ed esplosiva Catharsis, un brano che si sviluppa veloce in cui il ritmo distorto si fa più pesante e coinvolgente e in cui la melodia si sviluppa libera di disegnare armonie. C’è spazio per momenti più ambient e rilassati in Army of puppets, un brano tipicamente in linea con le uscite della Raumklang, lento, ambient e caratterizzato da un ritmo metallurgico da colonna sonora, mentre Dolls with empty eyes distorce un ritmo che comunque mantiene le sue coordinate temporali lente e pesanti (ed utilizzando un giro melodico che sembra provenire da un carillon).
Gli ultimi tre brani sono anche quelli meglio sviluppati e tra i più interessanti. Ancora una volta è un carillon ad aprire The shadow play, un brano lungo e multiforme, che inizia con un andamento lento e disteso per poi distorcersi fino al climax, una esplosione ritmica tarantolata sulla quale i giri melodici godono di ampio respiro creativo. Illusion of delusion è una secca e veloce cavalcata rhythmic noise da manuale del genere, caratterizzata da un incedere piuttosto old school e prepotente. La conclusione viene affidata a Farewell, Sir!, brano in cui la summa degli elementi di Ecstasphere viene ben sintetizzata: violino, giri melodici, pause ambient, voce angelica, tarantolata ritmica distorta.
Carnival of catharsis non è semplicemente un viaggio dentro se stessi, ma soprattutto una grande prova di maturità artistica. Ecstasphere è uno dei nomi più interessanti e creativi del panorama cosiddetto industrial ritmico attuale e sicuramente si distinguerà anche in futuro per il suo approccio particolare. Se lo scopo di ogni artista è creare musica che abbia una propria originalità, beh, allora Carnival of catharsis (come già aveva parzialmente accaduto con Breathe) ha centrato in pieno l’obiettivo.
Label: Raumklang music
Voto: 9, 5