Pubblicato da Alessandro Violante il aprile 23, 2014
Con molto piacere si può parlare di Armand Van Helden, qui in coppia con A-trak, come di un produttore, oltre che tra i più grandi dj del panorama house mondiale, ancora in grado di creare musica gradevole, divertente e in linea con i suoi, altissimi, standard di genere. Una vecchia lezione la sua, che affonda le sue basi a piene mani nell’old school, in qualcosa che ha molto più di qualche tratto in comune con il vecchio hip hop, che qualcuno ha chiamato garage (dal Paradise Garage, Frankie Knuckles r.i.p) ma che la maggior parte delle persone chiama semplicemente house music. Tra skit di vario genere, turntablism, suoni positivi e fortemente funky, vocals da stadio e brani che sono più che altro vere e proprie canzoni, sembra di essere tornati indietro di parecchi anni rispetto agli sviluppi degli ultimi vent’anni. Del resto lui è così, sempre in controtendenza rispetto alle evoluzioni europee, sempre perfettamente ancorato allo spirito e al sound della Grande Mela che è New York City, la città dalla quale proviene. Duck Sauce non è una creatura underground, tutt’altro, è invece la massima espressione di quel che vuol dire produrre house negli U.S.A., il tutto con alla base l’esperienza e la qualità di un maestro come lui, senza dimenticarci della sua spalla. Più rock e più punk delle recenti sperimentazioni in ambito elettronico, il sound del Papero riporta indietro nel tempo in maniera intelligente, confeziona dodici hit solidissime, apparentemente semplici, che rifuggono il ritmo duro e sincopato e che, al contrario, celebrano la canzone, il songwriting che c’è dietro un genere che ha cambiato il suo volto tante volte nella sua storia, così tante volte che ora è difficile riconoscerlo per quello che era. E’ opportuno affermare che questo rimane solo uno dei risvolti del genere ma uno dei più appassionanti e godibili. Come non lasciarsi trascinare dalla semplicità e dalla grooviness di singoli come It’s you, aNYway e Barbra Straisand (tra gli episodi più famosi del lotto), qui nella loro versione integrale che evidenzia la ricerca sonora del duo e l’attenzione per i particolari che le radio version tagliano via come angoli da smussare e che invece rappresentano delle marce in più (è il caso dell’ultimo brano del trittico, molto di moda qualche tempo fa). Qui il cultore non troverà un solo episodio sotto tono a partire dall’opener, sperimentale e old school, passando per skit divertentissimi anni dal forte sapore anni ’80 e rimembranze di vecchi stereo (Radio stereo, un inno da cantare a squarciagola) e dell’ambiente delle discoteche newyorkesi dei tempi che furono (Spandex, con tanto di gemiti femminili annessi e accelerazioni al fulmicotone, rilette tanti anni dopo da un produttore di successo come Fatboy slim), e si potrebbe andare avanti per tanto ancora…questo è il suono americano, qui si sentono black e white music fuse insieme a livelli davvero alti. Questo è il suono di New York. Bentornati.
Voto: 9
Label: Fool’s gold records