Pubblicato da Alessandro Violante il gennaio 14, 2015
Un tempo era ben più di un genere musicale, un modo di pensare la musica, l’incontro tra vari generi musicali che contraddistinse il lavoro di tante realtà degli anni ’90. Il nu metal ne divenne il fratello cattivo. Stiamo parlando del crossover e, appunto, il gruppo in questione, gli statunitensi Crossover, attuano questa pratica mescolando tra loro vari elementi che, insieme, danno vita alla definizione che danno della loro musica, cosmic dark beat. Non si sa molto su Mark L. Ingram e Vanessa Tosti se non che sono attivi dal 2002 e che, in passato, pubblicarono due release per la ormai famosa nel genere Desire records, anche casa dei Keluar e delle Minuit machine.
Funeral flowers è il loro sesto album prodotto dalla Vulture, la loro label personale e nuova di zecca (questa è la loro prima release per la suddetta), e contiene ben sedici brani che, nella loro varietà, stancano difficilmente, sebbene siano presenti episodi più accattivanti di altri. Il lavoro è attraversato, per tutta la sua durata, da una continua alternanza di momenti di tensione a momenti più lenti e sciolti. Nei primi, il beat inscatola danze oscure per i nuovi waver figli del recupero della dimensione analogica e del minimalismo intriso di witch house (o di post-witch house, che dir si voglia), mentre nei secondi esce fuori il recupero dell’elettronica più space e della dimensione extra-sensoriale, spaziale ed onirica. La voce femminile di Vanessa è aliena e trascinante mentre quella di Mark è trascinata e wavey e uno stile si sposa più o meno bene a seconda del brano: l’opener I wanna new planet è emblematica nella sua atmosfera spacey e straniante e presenta un momento dubstep evidenziando così la componente del crossover (un nome che è un manifesto d’intenti, come dicevamo prima) che permea il brano. Anche il beat è distorto al punto giusto e sembra poggiarsi sul suolo lunare.
Accade poi che brani manifesto come Darkside rules cambino completamente registro puntando tutto su un mid tempo andante e sulla voce alienante / alienata di Vanessa, quasi proveniente da un altro pianeta e così anche Shatter the night, un lento pop oscuro per gli abitanti dell’iperspazio adagiati su un paesaggio freddo, lunare e sintetico. Death of us all è un brano groovy, beat driven arricchito da un oscuro ed elettronico giro pianistico che evidenzia la varietà della vena compositiva del duo e così anche Alien rock con la sua atmosfera per l’appunto extraterrestre e groovy alternata ai vocals femminili soavi e distanti. Art of war è l’episodio più veloce, groovy e serrato del lotto, più orientato al dancefloor alternativo, analogico, minimalista nel suono e nella ritmica, diabolico ed alienato nei vocals, uno degli episodi più interessanti.
Digging your own grave è uno degli episodi più impegnati dal punto di vista lirico e anche più complesso dal punto di vista delle soluzioni adottate. Un giro di synth anche qui spacey e alieno permette alla ritmica di possedere una atmosfera oscura e malevola, ritmica che, a sua volta, qui è molto serrata, opprimente e dura (sempre relativamente ai suoni utilizzati, particolarmente anni ’80).
Proseguendo con l’ascolto si incontra una strumentale debitrice anche della lezione dei Justice migliori (quelli del primo album), un brano ricco di suoni taglienti e distorti, seppur con quel mood oscuro che i francesi non hanno mai avuto. Anche in questo un episodio fortemente danceable (ma tutto l’album lo è). Set myself on fire arricchisce ancor più la varietà delle composizioni spingendo sul 4 / 4 dritto, spacey e retro che ha molto dell’acid di inizio anni ’90. Nei restanti brani si continua a perseguire la varietà stilistica sopra descritta tra episodi più lenti, riflessivi e leggeri catalogabili come post-witch house ed altri più sintetici, onirici e spacey, così come altri dalla tendenza più danceable.
Sintetizzando, la particolarità di Funeral flowers è la varietà delle soluzioni adottate e la grande versatilità ritmica, musicale e atmosferica del duo che costruisce trame oscure e spacey alternate a cantilene aliene, extraterresti e distanti. Quello degli statunitensi Crossover è un album ricco di sfaccettature che evidenzia una certa maturità e una singolarità della formula. Questo è il loro dark beat dalle tinte space e non si può non parlarne. Piuttosto che parlarne, è molto meglio ascoltarne.
Label: Vulture
Voto: 8