Pubblicato da Alessandro Violante il settembre 3, 2016
Esmakra. Una parola che fa capolino, di tanto in tanto, nella mente di chi ha visto Succubus (da noi recensito qui), l’ultimo film del regista Cosmotropia De Xam – che ormai i nostri lettori conoscono – il cui lavoro cinematografico è ascrivibile alla corrente dell’Art-Horror. Durante la produzione del suo film successivo, la cui uscita è molto vicina, l’instancabile artista-regista-musicista (noto per celarsi dietro il progetto Mater Suspiria Vision) ha deciso di ripubblicare, in 50 copie, un suo film uscito nell’ottobre del 2013, Diabolique, ed è proprio di quest’ultimo che parliamo oggi.
Guardandolo, ci rendiamo presto conto che il film è un precedente, nella sua filmografia, che ha influenzato la sua produzione successiva. Il tema principale è sempre il medesimo: il binomio controllo / sua perdita, stavolta però narrato con una crudezza urbana più forte rispetto ai successivi. Un Surrealismo alienato (e alienante) che trasporta l’osservatore in un distorto bad trip in cui il focus è posto sui personaggi, piuttosto che sugli ambienti in cui si muovono.
Aura è una vampira che, insieme a Günter Schickert (il personaggio meno caratterizzato del film, una sorta di deus ex machina all’origine di tutto), si muove per la città alla ricerca di una potenziale vittima a cui somministrare Esmakra, una sostanza bianca e simile al latte, una droga che “controlla” la vittima, l’attrice Agnes Pándy, e che le dà dipendenza. Trovata la vittima, quest’ultima diviene “infetta”, e il film lascia intendere che il ciclo continui. Questo è, in breve, il plot narrativo, piuttosto semplice, ma non è certo la complessità diegetica quel che cerca il regista. E’ piuttosto la forte carica mistica delle scene, la caratterizzazione dei personaggi, la colonna sonora come elemento aggiuntivo che conferisce ancor più forza al tutto, e le scelte registiche che abbiamo imparato ad osservare nella sua produzione. Andiamo con ordine.
I protagonisti si muovono in un paesaggio urbano così come in interni dal forte sapore antico che contribuiscono a donare un’aura mistica, quasi magica alla pellicola, ma l’attenzione è rivolta a loro stessi, ai loro gesti, ad un disagio cercato e fortemente voluto, mai imposto. Agnes ricerca l’infezione e ci viene presentata in uno stato estatico. Lentissime sono le sequenze che anticipano l’atto, la liberazione e la perdita del controllo (ma quel che cambia è solo l’oggetto del controllo, che dalle regole sociali diventa Esmakra). Una sorta di rito preparatorio che, in un silenzioso crescendo visivo, “esplode” e si scarica nel liberatorio morso simbolico. Ancora una volta, come nei successivi film del regista, il protagonista ricerca la libertà dalle frustranti convenzioni e regole di una esistenza che toglie il respiro.
La “vittima”, a giochi fatti, è liberata e vive come entità simbolica e carica di misticismo in un luogo fisico che non le appartiene più, al di sopra di esso, in una dimensione spazio-temporale alternativa, come quando, con lo sguardo perso, entra in meditazione sedendosi sul marciapiede di una città industriale. Anche Aura, seduta in una stanza, entra in una dimensione mentale mistica sotto l’effetto di Esmakra, che cola dalla sua bocca, e i dialoghi enfatizzano la scena: Nera celebrazione del cervello. Infinita Babilonia. Gabbia come specchio. Risveglio. Esistenza. Anima. Ecco raggiunto il climax espressivo.
Il film non si concentra unicamente sull’esperienza esteriore del personaggio, ma anche su quella interiore, e lo fa attraverso l’uso del bianco e nero, come metafora della sua condizione mentale, in cui l’utilizzo della sostanza, dettata dalla dipendenza, riveste un ruolo chiave. Rispetto ai successivi film del regista, qui Cosmotropia usa la metafora della tossicodipendenza, per mezzo del ricorso alla siringa, un riferimento cinematografico ad uno dei più crudi film prodotti da Andy Warhol, Trash – I rifiuti di New York del 1970, parte di una trilogia realizzata da Paul Morrisey. Anche lì c’era il riferimento alla perdita del controllo per via dell’iniezione, anche se narrata in modo diverso. Lì c’era un iniziale rifiuto, ma c’era anche la medesima sensazione di crudo degrado respirabile anche in questa pellicola, anche se qui intriso di Surrealismo lisergico.
Per quanto riguarda gli omaggi cinematografici, coscienti o meno, c’è Le Retour A La Raison di Man Ray (1923) nei giochi di luce in bianco e nero, c’è il dettaglio delle grandi scarpe nere di Agnes che ricorda vagamente il medesimo dettaglio in Profondo Rosso così come alcune sovrapposizioni e certi giochi ottici che manifestano l’interesse del Regista nei confronti della sperimentazione del linguaggio filmico ricercata dalle avanguardie artistiche del XX° Secolo. L’incipit della pellicola richiama alla mente un uso del colore, del narratore extradiegetico, di un approccio quasi documentaristico, del concetto di parassita e di una sorta di concept ravvisabili in alcune pellicole di David Cronenberg tra le quali, soprattutto Shivers, tanto da sembrarne quasi un omaggio, ma il sonoro ha qualcosa in comune anche con Stereo, il primo lavoro del Canadese. E’ una sorta di raffinatezza macabra e intrigante. Il film si chiude idealmente con una inquadratura completamente bianca, che ci evidenzia quale sia il protagonista principale del film. Ancora “lei”, Esmakra, il motore del comportamento degli attori, il mezzo per l’ottenimento della “liberazione” / di una nuova mistica dipendenza. La colonna sonora riveste, come sempre, un ruolo fondamentale nella filmografia del regista, stavolta ad opera di In death it ends, Aura stessa, Mater Suspiria Vision e BLVCK CEILING tra gli altri.
In definitiva, Cosmotropia de Xam riesce, ancora una volta, a farci riflettere sulla nostra condizione di uomini liberi. Il messaggio del film è, come sempre, molto chiaro, anche se nascosto da corposi strati di Surrealismo visivo e musicale. Fino a che punto possiamo considerarci liberi e cosa rappresenta il concetto di libertà in un contesto sociale in cui la ricerca asfissiante del profitto, la strabordante massa di informazioni dataci quotidianamente in pasto senza possibilità di assimilarla e le barriere sociali ci asfissiano e ci rendono marionette condannate alla ripetizione di gesti ed azioni di cui veniamo chiamati a non comprendere la natura e la motivazione? Questo è il punto. Se questo vi intriga, dovete dare una chance a Diabolique.
Voto: 9
Phantasma Disques Filmproduction