Pubblicato da Alessandro Violante il gennaio 27, 2016
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Forse non tutti i nostri lettori conoscono l’universo musicale-cinematografico di Cosmotropia de Xam, meglio noto per il suo progetto Mater Suspiria Vision (senz’altro, visto il nome, appassionato del cult movie di Argento, e come dargli torto).
Delirium (della cui colonna sonora, ad opera di Drug Machine, un side project di MSV, abbiamo parlato pochi giorni fa) è la sua ultima fatica cinematografica. Ci sono molti modi di approcciarsi a questo film: ci si può concentrare sulla surreale narrazione, sulle scelte registiche e sulle tecniche di ripresa, o ancora vederlo come un calderone di citazioni cinematografiche e non. L’idea alla base della storia, come già accennato nella recensione dell’album, deve molto a David Cronenberg e alla sua idea di altro.
Il parassita, l’altro, che prende il sopravvento sul cervello di colei che lo abita, non rappresenta necessariamente un elemento negativo o di disturbo, ma è in un certo senso un antidoto all’alienazione che la Metropoli (in questo caso, Milano) porta inevitabilmente con sé. Non a caso, i due personaggi contrapposti, colei che “governa” il parassita (Shivabel Coeurnoir) e colei che lo ha dentro di sé (Maya Schneider), non solo vivono in dimensioni diverse (la prima appare nuda, quindi libera dai costumi sociali, in una sorta di non luogo in cui i confini sembrano non esistere ed il tempo scorre lentamente, mentre la seconda subisce il peso dell’alienazione che la periferia genera coi suoi freddi palazzoni e vaga per Corso Buenos Aires – ma potrebbe essere qualunque enorme e infinito corso milanese, o anche, in qualche modo, la Raccoon City di Resident Evil, visibilmente vittima della città, consumando ripetutamente e velocemente gesti veloci, nervosi e ricorrenti, come quello di mangiare velocemente in un chiosco o quello di fumare). Il ritmo della narrazione evidenzia la lentezza e la tranquillità nel non-luogo in cui Shivabel vive e la frenesia e l’irrequietezza dei movimenti di macchina da mal di mare e i ritmi narrativi veloci evidenziano la ripetitività dei gesti di Maya.
L’ospite ricerca il parassita come mezzo di liberazione dalle pressioni metropolitane (la vita frenetica, la metropolitana, etc… sono tutti elementi che enfatizzano un certo modo di vivere), ed è per questo che si reca presso il negozio di film ed incontra il deus ex machina della storia, che le cambierà la vita. Emblematica è l’inquadratura in cui le due protagoniste si osservano e tra le due, rivolto verso Maya, c’è un DVD dal titolo emblematico, Chi sei? di Assonitis, in un incontro che non ha bisogno di dialoghi, perchè nel negozio sono le citazioni a parlare. Un’altra citazione, stavolta di Cosmotropia stesso, è quella relativa al suo film precedente, Inferno Veneziano, a sua volta un film che pagava un tributo ad altri film. C’è poi l’ennesimo omaggio, stavolta a Videodrome, del già citato regista canadese, nella famosa scena in cui la videocassetta diventa l’agente attraverso il quale l’altro entra in contatto con la “vittima” e l’ospite ne viene influenzata. In questo caso, Maya inserisce una cassetta nel suo corpo.
Dopo questo incontro e la fusione con l’altro, l’ospite cambia e pian piano ascende verso quel non-luogo che, in un certo senso, la renderà libera, ed infatti, nel momento del passaggio, il ritmo del film progressivamente si distende, come a segnalare l’avvenuta liberazione dalla Metropoli e l’ascensione verso una nuova dimensione ideale. La colonna sonora si sposa perfettamente con le diverse ambientazioni e scene del film, passando da brani più ritmati ad altri più alienanti e atmosferici.
Delirium non è semplicemente una storia surreale, ma un calderone di citazioni e trucchi tecnici molto interessanti, tra cui le sovrimpressioni tipicamente primo-avanguardiste e, in questo senso, il gioco tra ritmo veloce / ritmo lento tra le due dimensioni sovrapposte. Delirium è un film realmente underground in cui la trama è ovviamente una metafora surreale di problemi realmente esistenti nelle grandi città, le situazioni di vita dell’ospite e i luoghi sono tremendamente reali, ed è questo che ci vuole mostrare il regista: non un universo narrativo immaginario e non contestualizzabile, ma la città così com’è, così come ognuno di noi la vive ogni giorno. Tutti, in qualche modo e in qualche recondito angolo della nostra mente, a volte vorremmo una cassetta per mettere in pausa il ciclico tran-tran quotidiano che finisce per consumarci. Cosmotropia de Xam non ha fatto altro che ricordarcelo, e la visione di questo film provoca in noi lo svuotamento delle nostre recondite pulsioni innominabili e nascoste, come ci insegna Metz.
Phantasma Disques Filmproduction
Voto: 8