Pubblicato da Alessandro Violante il marzo 9, 2015
La jetée di Chris Marker è il classico film veramente “invisibile” perché dimenticato anche dai cinefili nonostante la sua evidente qualità formale. Viene nominato solo nei testi che parlano di “cinema statico”, ovvero di quei linguaggi cinematografici che rifiutano il montaggio frenetico per soffermarsi sulle qualità fotografiche, o pittoriche, dell’immagine.
Questo mediometraggio, termine destinato all’oblio per la sua dissociazione dall’attuale sviluppo tecnologico, ribalta il modello del cinema muto dato che, mentre il cinema muto si basava sul movimento dell’immagine e utilizzava le didascalie come forma di dialogo, ha caratteristiche simili ad un radiodramma illustrato. Al termine, è definito “photo-roman” dallo stesso autore ed è descritto come “la storia di un uomo segnato da un’immagine dell’infanzia” e, per questo motivo, la narrazione avviene per via verbale dato che le immagini sono statiche e rimangono sullo schermo per un tempo sufficientemente lungo. Si parla di secondi, tanto da renderle una visualizzazione di quello che è narrato dalla voce e sottolineato dal suono.
L’aspetto importante è che lo scorrere del tempo è dato dal suono e non dall’immagine proiettata dato che, quando la voce narrante dice che “ascolta, parla, ride nel suo silenzio e s’allontana”, il volto e la risata sullo schermo non sottolineano l’azione ma agiscono ad un livello più sottile poichè sottolineano il ricordo e cambiano il tono, e forse il soggetto, della narrazione. L’immagine non è più l’oggetto che cattura l’attenzione e diventa intrattenimento, ma risulta quasi un concetto filosofico, visto che ha un rapporto dialettico con la narrazione.
La voce, col sostegno della colonna sonora, diventa, dal punto di vista narrativo, il film, e l’immagine cambia statuto, visto che diventa un commento o una rappresentazione, dato che diventa una rappresentazione dei “ricordi corretti”, modificati allo scopo di renderli socialmente accettabili anziché dei “ricordi veri”. Se il movimento s’associa alla vita, questo lavoro associa all’immagine statica il ricordo, ed assume che, in questo modo, perda la sua funzione di documento associato alla realtà, ma che abbia la funzione illustrativa di raccontare quello che la parola non riesce a dire.
Scritto da Andrea Piran