Pubblicato da Davide Pappalardo il agosto 12, 2015
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Chelsea Wolfe è un’artista spesso aspettata al varco da pubblico e critica; il suo suono che trae a piene mani tanto dal neo folk americano e dalla scuola gotica statunitense quanto dalle sperimentazioni ostiche industriali e no wave, ha sempre attratto un pubblico disparato e consensi; ma come spesso accade, con l’ammirazione convive il malsano desiderio di veder cadere chi amiamo, di rimanere delusi. Tra alti e bassi la carriera della nostra è continuata negli anni, muovendosi tra atmosfere acustiche, momenti eterei e inquietanti digressioni rumoristiche; eccoci oggi quindi ad affrontare il suo quinto lavoro Abyss, pubblicato dalla Sargent House come il precedente Pain is beauty del 2013.
Il disco vede tra i vari collaboratori anche Mike Sullivan degli americani Russian Circles, band di post rock tendenzialmente strumentale, con la quale la nostra ha collaborato sul loro quinto album Memorial; egli apporta una certa influenza in alcune parti, marcando elementi drone ed atmosferici, senza comunque snaturare il sound della cantante/musicista, semmai seguendo un’evoluzione che è comunque sempre stata insita nella progressione dei suoi lavori. Un disco dunque fatto per avvolgere, e in cui l’ascoltatore si deve immergere per un viaggio sonoro dal gusto onirico e rarefatto, in cui la musica è arte ben congegnata; un lavoro che ci offre una sorta di “crooner” oscura che sa essere dark senza aderire a stereotipi marcati o convenzioni, terribilmente familiare ma, allo stesso tempo, capace di prendersi libertà con il suo suono, ora più maturo e confidente.
Carrion Flowers ci accoglie con distorsioni grevi, le quali si sommano a rumori industriali, chiamando in causa le claustrofobie degli Swans; ecco quindi che le sue vocals eteree e atmosferiche “molestano” il caos sottostante, creando una dicotomia tipica del suo suono, uno degli elementi che più attirano della sua musica. In sottofondo si stagliano suoni tetri, i quali prendono piede in una cesura che viene poi distrutta da bordate aggressive ed effetti taglienti, in un crescendo apocalittico: un ottimo biglietto da visita carico di visioni oscure e cacofoniche, in cui però l’armonia sopravvive in un gioco delle parti.
Dragged out offre suoni striduli in fase d’apertura, mostrando poi apocalittici e grevi toni sludge sui quali si sposano ritmiche suadenti e vocals sommerse, in una tensione sospesa che mantiene intatta l’oscurità della Nostra e la sua capacità di essere imponente; si esplode poi con effetti altisonanti, in una somma emotiva in cui però la sua voce rimane un elemento di controllo, inserito in quello che altrimenti potrebbe essere caos fine a sé stesso. La posta in gioco è alta, ma Chelsea non ha paura di giocare la sua mano, uscendone vincitrice in un suono epocale che realizza pienamente le sue capacità.
After the fall parte con parti ambient sospese, prima di introdurre un’elettronica pulsante accompagnata da piano e voce delicata, in una trama quasi trip hop, in cui però le melodie “sgraziate” salgono d’intensità, richiamando in parte un certo minimal pop sperimentale; distorsioni e drum machine riportano le parti più epocali in gioco, salvo poi però lasciare ancora spazio alla calma cadenzata già sentita. La struttura è giocata su pulsioni e alternanze come in un botta e risposta, che dispiegano i dialoghi sonori creati dalla statunitense con alta emotività, e allo stesso tempo, controllo. La coda finale, dopo una suite quasi progressiva, è segnata dalle digressioni taglienti e dall’enfasi vocale, prima di annegare in effetti ambient che portano tutto all’origine.
Crazy love ci sorprende con un impianto acustico che può richiamare Nick Cave o Leonard Cohen, ma che in realtà non risulterà alieno a chi conosce davvero la Nostra; ecco quindi che gli elementi folk si allineano con campionamenti alieni in un gioco di calma ed inquietudine, in cui le corde sgraziate instaurano un’atmosfera che prende come sempre al cuore, creando bellezza laddove non c’è perfezione, sempre anche grazie alle vocals piene di anima della Nostra. Un pezzo “semplice” ma efficace, che si spegne su note sempre sinistre.
Survive è un episodio dai connotati post rock in cui anche la produzione viene resa lo-fi a livello di chitarre grevi ad accordatura bassa, mentre per contrasto, la voce risalta ancora di più; suoni stridenti e notturni e riverberi corrosivi si stagliano creando atmosfere opprimenti, ma è l’intensità emotiva della voce ad avere la meglio, anzi rafforzata dalle asperità taglienti. Il finale vede una digressione in cui poi il drumming prende velocità e i suoni onirici prendono il sopravvento con toni da incubo, in cui però sopravvivono le vocals sognanti della Nostra; l’anima del post punk inglese è qui ben viva, offrendo un’altra lezione della Nostra sulla materia oscura.
Tirando le somme, si tratta di un disco che sa essere sperimentale senza essere eccessivamente ostico (per chi già si nutre di certa musica, ben inteso), ma che non cade mai nella trappola del fine a sé stesso, e che sa sempre mantenere le direttive principali che compongono l’anima della musica della cantante americana; il contrasto tra suoni grevi, distorsioni, piano-forte, parti acustiche, e soprattutto la voce piena di pathos della Nostra si dimostrano come sempre vincente, qui possibilmente il tutto giostrato con una maturità compositiva e d’esibizione superiore al passato. Un disco che coinvolge pur non volendo rassicurare, capace di offrire spazi sonori immersivi in cui si è in balia dei suoni offerti senza attacchi alla giugulare nè suite troppo melodiche, in un giusto equilibrio di elementi; un ottimo lavoro che chi già segue Chelsea Wolfe, ma non solo, deve aggiungere alla propria discografia. Paesaggi neri e saturi ci aspettano, ma incredibilmente non ci soffocheranno, mostrandoci invece parti di noi che forse non conoscevamo; sta a noi farci guidare da questa luce oscura nella notte dell’anima.
Voto: 9
Label: Sargent house