Pubblicato da Davide Pappalardo il marzo 8, 2016
Torniamo a parlare dei partenopei Ash Code, già trattati da noi con il debutto Oblivion del 2014; ora i Nostri (composti sempre da Adriano Belluccio, Alessandro Belluccio e Claudia SchöneNacht, con l’apporto qui della produzione di Silvio Speranza e del suo studio L’Arte Dei Rumori) tornano con il loro secondo lavoro, sempre per la SwissDarkNights, ovvero Posthuman. Il suono di riferimento non cambia, trattandosi ancora una volta di una ripresa degli stilemi post punk e delle tendenze coldwave dal respiro internazionale; il tutto arricchito da una certa elettronica minimale dalle atmosfere oscure e fumose, ben adatte allo stile del gruppo, che continuerà con tutta probabilità a raccogliere consensi anche con questo secondo episodio della loro ancora nascente discografia.
La compresenza dello strumento a corda, spesso greve e stridente, e del synth è, ancora una volta, presentata come carta vincente, con la voce epica di Alessandro, i sintetizzatori di Claudia e il basso di Adriano, quest’ultimo responsabile anche della parte ritmica; non bisogna però pensare ad una copia carbone del debutto, in quanto vi troviamo anche alcuni nuovi elementi implementati nella struttura descritta, tra sezioni più robuste ed evocazioni più ariose. Per ottenere ciò, i tre hanno qui usato anche strumenti particolari come il theremin e synth analogici rielaborati, cercando di andare oltre il suono, spesso digitale, di oggi; l’operazione ha funzionato, regalandoci parti che trasudano di presa diretta e che vengono segnate da una certa autenticità.
Il disco inizia con It’s time to face the abyss e con i suoi suoni evocativi, caratterizzati da una ritmica pulsante; fraseggi incalzanti e riverberi si aggiungono, fino all’introduzione del cantato oscuro e delle cadenze ritmate, unite a sintetiche melodie malinconiche. Segue un ritornello dalla facile presa, il quale si dilunga con i suoi strati sonori; è un pezzo che non rinuncia comunque, nella seconda metà, ad asperità stridenti, pur mantenendo in bella vista la parte melodica.
Challenging the sea si dipana tra spirali sonore e drum machines possenti, in una connotazione post punk presto aperta da arie maestose e parti a corda notturne; la suadente voce di Alessandro trova casa negli spazi tra i movimenti, alternandosi con il processato intervento vocale di Claudia. Il risultato è un episodio strisciante che si apre ad epiche partiture trascinanti; non mancano cesure ritmiche molto evocative, che danno il via ad un finale degno di nota.
Sand inizia con suoni ambient, presto sormontati da un arpeggio unito alla ritmica sintetica; c’è un bell’andamento di synth, mentre il cantato si presenta intriso di riverberi fumosi, unito a cimbali elettronici e tastiere incalzanti. Il brano procede con suoni minimali da primi anni ’80, in un ritornello ripetuto ad oltranza; l’alternanza tra le due parti fa da perno al pezzo, in un’ondata sonora che cresce e si abbassa, dandoci i diversi andamenti.
La titletrack è piuttosto robusta, con le sue ritmiche serrate unite a riff e tastiere maestose; il movimento da cavalcata dark si arricchisce grazie alle vocals in riverbero, mentre alcuni suoni oscuri e gotici fanno da cesura prima della ripresa del boogie elettronico. Un episodio che mostra una certa varietà di umore, dove l’oscurità di fondo mostra anche un volto più energico; ancora una volta, la melodia algida e malinconica non viene messa in disparte, in un crescendo orchestrale dal grande respiro.
Tide sale in una spirale sonora completata da basslines pulsanti e arie evocative, tanto quanto la voce narrativa del cantante; tornano i giri di basso e le aperture dagli archi sognanti, in un completamento composto della struttura. Il movimento è suadente, sognante, per un brano che non rinuncia ad alcuni “vortici elettronici”, dosati insieme a tastiere ammalianti; ci accingiamo alla conclusione in un ritornello ripetuto, lasciando poi spazio ad un bell’arpeggio con clap ritmati.
A new dawn è l’epitaffio del lavoro, una suite che inizialmente si evolve con synth vorticanti, uniti poi ad una drum machine serpeggiante; improvvisamente, onirici cori sintetici trovano qui dimora, creando un’atmosfera atavica dal grande effetto. Un’unione di elementi tra sintetico e analogico fa da substrato per le sofferte vocals di Alessandro, mentre crescendo malinconici offrono una certa epicità che non può lasciare indifferenti; l’ossatura minimale è qui sapientemente arricchita grazie agli andamenti melodici, capaci di creare immagini sonore dagli sviluppi addirittura cinematografici.
Posthuman è un secondo tassello in un’esperienza relativamente recente, la quale, nonostante ciò, sta già mostrando pienamente i suoi buoni frutti, in una musica ben legata a certe influenze e ad un certo contesto, ma che ha una sua identità ben strutturata; il songwriting dei Nostri si mantiene composto e dedito all’evocazione di atmosfere notturne, senza aver paura di sperimentare in alcune occasioni, accelerando il passo e dando ora più attenzione al basso, ora all’elettronica minimale. Questo equilibrio permette quelle oscillazioni e quegli spostamenti che ci donano un album coerente ma non monotono, ben più di una raccolta di brani; non è un concept album nel senso classico, ma si percepisce una certa unità sonora e di atmosfera, unità che ci regalano un tema portante, ovvero quello dell’esistenza “post-umana”, appunto, nel mondo attuale, e il rapporto tra l’uomo, la biologia, l’ambiente, la società e la tecnologia. Gli Ash Code si servono di suoni retrò per narrare il tempo odierno, tendenza seguita da molte realtà della nostra epoca; il risultato è un episodio che si conferma di grande interesse, ristabilendo, a diritto, la band come una delle migliori novità tanto del panorama italiano, quanto di quello internazionale.
Voto: 8, 5
Label: SwissDarkNights