Pubblicato da Davide Pappalardo il dicembre 14, 2014
Andiamo oggi a trattare una realtà nostrana ovvero gli Ash Code, band formata dai giovani Alessandro (voce, programming), Claudia (voce, synth) e da Adriano (basso, batteria elettronica); se è vero che la realtà italiana non è certo nuova a proposte anche abbastanza importanti nel campo elettronico oscuro (si pensi a Frozen Autumn o Pankow, per esempio), è anche vero che da un po’ di anni l’interesse si è concentrato soprattutto su band più legate ad un contesto post rock, mentre l’area minimal / synth è un po’ passata sotto piano, se non apertamente ignorata da promoters ed etichette.
Recentemente, comunque, sta avvenendo una forte spinta a livello europeo verso queste sonorità, e speriamo che questo porti anche ad un maggiore interesse verso le band nostrane come questa, i Third One o gli Schonwald, sicuramente meritevoli e che già stanno avendo consensi all’estero; in ogni caso, Oblivion, il loro debutto qui recensito, si presenta come un prodotto professionale sia negli arrangiamenti che nella produzione, non temendo il confronto con i colleghi tedeschi, francesi, etc. L’album coniuga le tendenze sopra citate con un’innegabile matrice post punk che rende omaggio, non copiandoli, a mostri sacri come Tuxedomoon, Bauhaus, i primi The Cure e compagnia varia.
Questo è possibile soprattutto grazie all’apporto dello strumento a corda che, greve, delinea architetture sonore gotiche sulle quali si organizzano i suoni siderali di natura sintetica in una perfetta coniugazione di sogno e realtà, carne e struttura elettronica, per un suono tanto ancorato al passato quanto proiettato nel presente e nel futuro della realtà europea; non è un caso che i nostri siano stati notati e accolti dalla Swiss Dark Nights, importante etichetta svizzera che sta tenendo sott’occhio il panorama underground del bel paese carpendone gli esempi migliori.
Largo, quindi, alla opener Void, in cui onirici suoni delicati fanno da colonna sonora al monologo in voce femminile con il loro ammaliante loop new age e con un brusio di sottofondo che ricorda le onde del mare e che sale d’intensità fino al finale; parte poi la linea di synth serrata su cui si staglia la drum machine meccanica entrando nel vivo di Waves with no shores e delle sue pulsioni vecchia scuola in cui non manca l’apporto del basso malinconico e delle tastiere altrettanto evocative e notturne. La voce maschile richiama lo stile gotico che fu e che ancora è, con il suo andamento suadente e solenne che completa abilmente la parte strumentale, potente e allo stesso tempo melodica.
Crucified ci sorprende, dopo una sequenza di pezzi oscuri ed atmosferici, con un andamento inquisitorio giocato su incalzanti bordate elettroniche che sottolineano il cantato cadenzato e ricco di effetti in riverbero; si crea, quindi, una sorta di rockabilly nero per robot che non rinuncia alle connotazioni tetre pur mantenendo un alto numero di BPM che non sfigureranno sui dancefloor oscuri più ricettivi.
La title track si rifà al minimal synth anni ottanta accompagnandolo però con il fido basso, in un andamento calmo e serpeggiante in cui torna protagonista il cantato pieno di effetto di Alessandro; la successiva Unnecessary song lascia spazio all’elemento sintetico grazie alle tastiere psichedeliche e al programming robotico in cui campionamenti vocali sottolineano i movimenti della composizione, in un’avvincente andamento retro che farà felici tutti gli appassionati di certe sonorità.
Drama dà spazio alla voce di Claudia, orchestrata sulle pulsioni elettroniche di batteria elettronica e synth sulle quali prendono posto i giri di basso ammalianti ed evocativi, come sempre, in un pezzo notturno che richiama quasi certo electroclash nei suoi beat ossessivi, ma che mantiene tutta la nera malinconia dai connotati dark che caratterizza tutto il lavoro, insieme ad un certo rigore artificiale; da segnalare la sequenza del secondo minuto e trentatré dove si struttura una bellissima melodia giocata sui giri dello strumento a corda, dimostrando una certa abilità compositiva da parte dei nostri.
Want assume connotati ancora una volta più robotici e, in questo caso, più vicini alla scuola teutonica, richiamando con la sua urgenza incalzante fatta di tastiere e linee di synth in prima linea Kontravoid e Velvet Condom, ma con un andamento possibilmente meno rigido e dai toni più epici grazie alle notturne sirene elettroniche che dominano la parte melodica e al contrasto con i feedback in sottofondo che mantengono un certo gusto post-punk e sperimentale.
Oblivion è, dunque, un ottimo lavoro che mostra una band che non ha paura di confrontarsi con la realtà internazionale, e con buona ragione: gli arrangiamenti sono professionali e non annoiano mai, gli elementi usati sono ben equilibrati senza mai creare parti che stonino o che non leghino tra loro. Varietà accompagnata a coerenza è il motto per un suono che racconta e ammalia allo stesso tempo, ricco di atmosfera e movimenti incalzanti dall’animo oscuro. Oblivion degli Ash code è l’ennesima dimostrazione di come si possa creare qualcosa di interessante e di personale partendo dal passato e di come, se aiutata a dovere, la scena italiana abbia molto da offrire. Consigliato agli amanti dei suoni sintetici e oscuri con il cuore legato alla nostalgia del passato, ma che, però, non rifiutano i suoi frutti nel presente.
Label: Swiss Dark Nights
Voto: 8,5