Pubblicato da Alessandro Violante il marzo 25, 2014
Poco tempo fa il famoso testo di Gene Youngblood, Expanded Cinema del 1970, è stato tradotto in italiano e, per la prima volta, è possibile leggerlo nella nostra lingua. Comunque lo si voglia vedere, questo è stato un passo piuttosto importante dal punto di vista storico-artistico, ma è anche l’ennesimo sintomo della situazione della letteratura artistica nel nostro Paese.
E’ bene sottolineare che, così come accade sul territorio nazionale, la potenza e l’importanza del linguaggio artistico vengono sempre recepiti con forti ritardi, e questo è l’ennesimo caso. Penso che, al momento della sua stesura, Youngblood non avesse immaginato che il suo testo sarebbe stato considerato un lavoro da trattare, a quarantaquattro anni dalla sua pubblicazione, come l’ennesimo libro di storia delle ideologie alla base del pensiero riguardante i linguaggi dell’Arte Contemporanea. Penso, altresì, che non siano molti, tra gli artisti contemporanei, ad esplodere di gioia all’idea di diventare personaggi da museo.
L’Arte Contemporanea e, in particolar modo, l’Arte Multimediale, con l’Oggi, molto spesso, vuole esprimere il Presente e, soprattutto, il Futuro. Questa idea di arrivare al traguardo con mezzo secolo di ritardo non ci aiuta nell’abbattimento di questo gap che portiamo, come Paese, nei confronti degli altri. Basti pensare che, facendo una rapida ricerca su Google, il testo si trova online, ospitato sulla pagina delle testimonianze del laboratorio Kitchen di Steina e di Woody Vasulka, tra i maggiori responsabili per la crescita e la sperimentazione delle nuove forme di linguaggio dell’immagine elettronica a cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80, in riferimento al passaggio dalla video arte analogica a quella digitale.
Partendo da una considerazione dell’autore, il passaggio al linguaggio artistico del video esprime il raggiungimento di un nuovo stato di coscienza da parte dell’individuo, che si trova a trascendere il medium cinematografico e ad abbattere i confini del medium come veicolo di comunicazione verso il concetto di medium come comunicazione, ed esso diventa il non-luogo in cui, per la prima volta nella Storia dell’Arte, la Forma e la Sostanza si equivalgono. I prodromi di questo punto di arrivo sono rintracciabili negli studi e nelle ricerche svolte nei decenni precedenti (e negli stessi anni) dalle avanguardie storico-artistiche prima, dalle neoavanguardie poi, con una particolare predilezione per l’espressione dei concetti fondanti della pratica avanguardistica all’interno del medium cinematografico, che costituiscono poi le forme di anti-narrazione che, a loro volta, introducono buona parte delle idee alla base delle pratiche video-artistiche.
I quattro tasselli fondamentali che il medium eredita sono:
– Il realismo, ovvero il concetto di Cinema-Veritè espresso da Andrè Bazin, il quale trova la sua espressione tecnico-teorica nel concetto di montaggio proibito, secondo il quale l’immagine girata non deve essere montata, pena l’impossibilità di rappresentare la realtà.
– Il surrealismo, che si concretizza nella giustapposizione di due o più elementi tra loro distanti, che creano una nuova dimensione, e su questa strada si muove una pletora di grandi artisti come Wagner (che, per questioni di storia, per primo vi si mosse) in musica, S. M. Ejzenstejn nel cinema, Duchamp nell’Arte comunemente intesa, e tanti altri fino ad oggi
– Il costruttivismo, consistente nell’idea che quello che il vero significato dell’opera sta nel processo che porta alla sua creazione e non nel lavoro fisico. Anche a partire da questo, moltissimi artisti esplorarono territori affini
– L’espressionismo ovvero l’alterazione del materiale, filmico e non, non montato, trattato con filtri e stratagemmi mirati ad alterarne la realtà per esprimere dati concetti
A partire da questi quattro punti cardinali, l’introduzione della tecnologia adatta, dapprima il Portapak della Sony, e la disponibilità economica, nonchè l’interesse di determinate emittenti televisive e di fondazioni, fecero il resto. A cavallo tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, il boom, se così può essere definito, è compiuto: la video arte è una forma d’arte. Il tempo e la sperimentazione fanno sì che questa costruisca un proprio Vocabolario e che ottenga il proprio posto tra i linguaggi artistici più rilevanti del XX° Secolo.
In tutto ciò l’individuo coevo, allora identificabile nella figura dell’artista, viene chiamato a studiare le potenzialità del medium e scopre la potenza comunicativa che si trova nella sua natura intrinseca che, come anteposto, è insieme Forma e Struttura. Pertanto, il video, rappresentando un medium diretto, ovvero che non funge da tramite ma che esprime esso stesso l’informazione secondo il principio realista prima descritto, porta l’individuo all’acquisizione di una nuova forma di coscienza, il che implica il ripensamento del suo status di persona nel mondo.
Facciamo un salto di circa quarant’anni e vediamo cosa è successo nel frattempo.
Potremmo sintetizzare l’evoluzione dell’Arte Contemporanea come l’evoluzione di quegli stessi quattro principi che, a seconda della corrente e dei linguaggi artistici, sono stati preponderanti gli uni sugli altri. In tutto questo l’individuo ha raggiunto la sua nuova coscienza?
La risposta è: dipende da chi, da dove e da come. Innanzitutto, Umberto Eco ha compiuto una prima grande divisione tra Apocalittici e Integrati, i primi dediti all’osteggiamento del rapporto 1 : 1 tra individuo e medium, percepito come una forma di pericolo sociale (vedi la Scuola di Francoforte e, nell’Arte, il pensiero di Nicolas Bourriaud e la corrente dell’estetica relazionale, la cui idea è mutuata dal pensiero di Guy Debord, espressa nel testo Società dello spettacolo), i secondi dediti all’apprezzamento dell’idea secondo la quale, come diranno Marshall McLuhan prima e Cronenberg poi, il medium è una nostra estensione diretta e, se è vero che il medium è il messaggio, allora tanto mi dà tanto.
Dopo avere affrontato chi sia il chi, analizziamo il dove. I recenti sviluppi dell’Arte Contemporanea legati alle forme d’Arte Sperimentale, tra i quali i principali sono la virtual art, l’Arte simulativa, quella interattiva, la bio art, l’augmented reality art etc… hanno evidenziato un rafforzamento del concetto mcluhaniano e cronenberghiano, ma hanno conosciuto scarso supporto da parte del Sistema dell’Arte Contemporanea, soprattutto in questo Paese, escludendo da questa riflessione gruppi di fondamentale importanza come lo Studio Azzurro e le esperienze delle storiche fondazioni di videoarte. Il contrario accade altrove, come ad esempio nei centri e nei musei specializzati nelle correnti artistiche rientranti nella più generica catalogazione di Arti Multimediali in Germania (ZKM), in Austria (Ars Electronica), negli Stati Uniti (si pensi al Media Lab del MIT), e nei festival di settore sparsi in tutto il mondo. Il creative coding riveste, in questo processo di avvicinamento, un ruolo fondamentale e la qualità dell’apparato testuale viene garantita dalle pubblicazioni della divisione Leonardo Books dello stesso MIT.
Passiamo ad analizzare la variabile come. E’ pur vero che Youngblood aveva immaginato un futuro avveniristico che in parte si è avverato in misura differente rispetto alla sua immaginazione (per il tempo, molto veritiera). E’ anche vero però che, alla fine degli anni ’90, il sogno della costruzioni di universi virtuali ha conosciuto un fallimento dettato, forse, dalla paura del passaggio verso realtà costruire su pagine e pagine di codice, forse anche, più plausibilmente, dall’impossibilità di ricreare realtà perfettamente identiche alla realtà di tutti i giorni. Tuttavia, l’individuo odierno è, rispetto al passato, molto più vicino al contatto diretto con i media, ma non ne ha la padronanza e, spesso, ne è ancora succube.
Questo vuol dire che l’idea del video come portatore sano di una nuova coscienza è stato un tentativo considerato come fallimentare? Non è poi così vero e non esiste una risposta così precisa. Basti pensare al nostro rapporto con le moderne tecnologie per capire come per noi oggi sia particolarmente semplice relazionarci con computer, smartphone e altro. Quello che si sta perdendo, a mio parere, è l’importanza dell’Arte come motore di evoluzione dei nostri rapporti con gli organismi mediali e multimediali. Rispetto agli anni degli Experiments in Art and Technology, in cui figurava Youngblood, l’Arte riveste, nella nostra penisola, un ruolo estremamente marginale e non viene considerato come linguaggio fondamentale per la comprensione dell’uomo del domani. L’Arte, in questo, è andata disgiungendosi dalla tecnologia, e ora la seconda prevale. Quello che, però, così viene a mancare, è la sperimentazione. Si tratta di quella forza che permette di superare i confini del presente seguendo approcci sincronici e non necessariamente diacronici e che, come qualche decennio fa, potrebbe ancora avere un ruolo determinante nello sviluppo della società del domani.