Pubblicato da Alessandro Violante il luglio 5, 2013
L’altra anima dell’abruzzo, distante anni luce dalle spiagge e dai circuiti indipendenti ufficiali si trova sui solchi dei conterranei Alteranima. Musica celebrale sintonizzata sulle frequenze di un’elettronica ricercata, intelligente, idm nella sua accezione migliore, che in sette brani (più remix) riassume una ricerca che trova compimento nel primo full length rilasciato per la Raumklang music del talent (scout, e non solo) Dirk Geiger. Qui risiedono idee, suoni e ritmi che affondano nella psiche del viaggiatore che, non trovando sfogo negli ambienti circostanti, fa della ri-costruzione la sua materia prima. Musica che esula dalla realtà e che, in una formula duchampiana, personifica il terzo occhio burroughsiano e le derive post-duchampiane. Questa elettronica ricerca, in The third tone, l’apoteosi del concetto di detournèment così chiaro a più generazioni di artisti e musicisti che, a partire dalla ruota, costruiscono il loro mondo. E il mondo di Elda Di Matteo, Matteo Di Giovanni e Danilo Di Giulio è un mondo fittizio, fatto di ritmi talvolta sincopati, tal’altra distesi, di sampling, di atmosfere surreali, che talvolta richiamano alla memoria, attraverso l’utilizzo di certe soluzioni, alcuni dei mostri sacri del suono post-industrial e non solo. Un disco non semplice da raccontare all’interno di un universo musicale che va sempre più semplificandosi, riducendosi al beat, ai mid-tempo. Alteranima si pongono come un perfetto antidoto a questa crisi di idee, presentandosi, più che come meri musicisti, come degli artisti nel reale senso della parola che creano qualcosa che è altro da sè. Questa, riassumendo, è un pò una delle idee possibili a partire dalle quali sviluppare il concetto di elettronica intelligente. A dimostrazione della bontà del lavoro bastano sette brani per suggellare, attraverso gli echi melodici della title-track, attraverso gli interessanti giochi ritmici di Lucid dream e, ancor più, di Inner silence, attraverso la ricchezza di idee che sembrano però sempre svilupparsi in vie concrete, non tralasciando gli altri episodi, mai banali, mai scontati, mai riempitivi (e questo è un grande punto di forza), una musica senz’altro interessante. I remix sono a loro volta molto autorevoli e attraverso la presenza di nomi importanti come Autoclav 1.1, Access to Arasaka, Stendeck, Talvekoidik, testimoniano ulteriormente, qualora ce ne fosse ulteriore bisogno, la qualità di un lavoro che riesce a dare un senso al flusso artistico-musicale che spesso rimane lì, incompiuto, un how to, in altri act spesso più blasonati. Un nome, quello di questi conterranei, troppo poco noto in patria ma che comincerà ad avere un certo seguito altrove, laddove il suono si fa più rarefatto, laddove le frequenze si fanno meno chiare, laddove le certezze vengono a mancare e che invece non trova adeguato riscontro lì dove la certezza viene considerata la chiave di volta di una sopravvivenza. Il discorso è: vivere o sopravvivere? I nostri hanno scelto la prima via. Un disco senz’altro difficile, ma non impossibile, che richiede una certa attenzione per il dettaglio e per la ricerca. Una ottima prova.